Marco Buttu: «La mia vita a 90 gradi sotto zero. Un anno al lavoro in Antartide»
L’ingegnere di Gavoi, 46 anni, è alla sua terza missione. I suoi video su Instagram sono diventati virali con milioni di visualizzazioni
Un anno ai confini della Terra, in condizioni così estreme e a temperature così basse che l’ossigeno scarseggia e il freddo è tale che non si riproducono neppure i batteri. Dodici mesi lontano dal resto del mondo, per portare avanti il programma nazionale di ricerche in Antartide del Cnr, nella base Concordia, 1200 chilometri nell’entroterra del Polo Sud e sopra uno strato di ghiaccio spesso 3mila metri. L’ingegnere di Gavoi Marco Buttu, 46 anni, è alla sua terza missione nella base internazionale italo-francese, dove la vita è molto simile a quella sulla stazione spaziale internazionale: nei mesi invernali sono in 13, tra i quali un altro sardo, il meteorologo di Austis Mario Lecca, che si occupa di fisica dell’atmosfera. Poco più di due settimane fa, il 30 marzo, Marco Buttu ha pubblicato su Instagram, sul suo account @marco.buttu, un video in cui mostra come ci si deve vestire per poter uscire all’esterno a -90 gradi. Un video che in pochissimo tempo è arrivato a quasi sette milioni di visualizzazioni, con 246mila like e oltre 4mila commenti.
Come si vive nella base? Per quanto tempo restate completamente isolati?
«La vita nella base è molto diversa a seconda della stagione. Da novembre a febbraio è raggiungibile e ospita sino a 70 persone. Il sole non tramonta mai, la temperatura si aggira attorno ai -30°C, si lavora intensamente per l’intera giornata e le attività sono molteplici e trasversali. Si dorme in camera doppia. Durante l’inverno invece, che va da febbraio a novembre, qua in base rimaniamo in 13, isolati e irraggiungibili dal resto del mondo. Dobbiamo far fronte in modo autonomo a ogni tipo di emergenza. Ognuno ha la sua camera singola. La temperatura scende sino a -80°C, i ritmi sono più blandi, per più di tre mesi il sole non sorge, non c’è alcuna privacy e si diventa una grande famiglia».
Come si fa a gestire una situazione così estrema a livello psicofisico? La lontananza dalla famiglia come viene gestita?
«Abbiamo superato una selezione non solo tecnica, ma anche psicologica e fisica. Una psicologa dell’Enea ci ha valutati e addestrati. In aggiunta, io pratico yoga, una disciplina che ogni giorno mi riporta a un punto zero in cui qualsiasi problema viene cancellato e riprendo la giornata come se fossi rinato. È una disciplina che mi aiuta ad affrontare la spedizione, ma anche la vita del “Mondo Normale”, sia dal punto di vista della salute fisica sia mentale. Quest’anno la lontananza dalla famiglia si sente molto meno grazie a una connessione satellitare performante: per la prima volta abbiamo Internet nei nostri cellulari e possiamo fare videochiamate giornaliere».
Come è nata l’idea di raccontare la sua esperienza in Antartide attraverso Instagram?
«Ho sempre tenuto una sorta di diario di bordo. Nelle precedenti spedizioni pubblicavo solamente fotografie, perché avevamo una connessione satellitare lentissima. Quest’anno, grazie a una connessione satellitare a banda larga, ho la possibilità di pubblicare anche i video».
Il suo video in cui mostra come coprirsi per uscire all’esterno a -90 gradi è diventato virale. Come è nato?
«La sera prima che pubblicassi il video ho avuto un collegamento in diretta con la Rai. Durante il collegamento la temperatura esterna era di -70°C, che per via del vento veniva percepita come -90°C. Indossavo una maglietta a maniche corte e infradito ai piedi, come mio solito qua a Concordia. Stavo mostrando la base ai giornalisti e arrivato dinnanzi alla porta di uscita l’ho aperta per mostrare i container dove teniamo il cibo, che si trovano di fronte alla base. Come mia abitudine, visto che avrei impiegato meno di venti secondi, sono uscito con addosso un abbigliamento da giornata estiva in Sardegna. Una giornalista, con gli occhi sgranati, ha subito chiesto: “Quanto tempo si può resistere vestiti in quel modo, a quelle temperature?”. La mattina successiva, mentre attraversavo il tunnel che collega le due torri, passando di fronte alla porta d’uscita ho ripensato alla domanda della giornalista e mi è venuto in mente di fare un video su quell’argomento».
Quando ha girato il video, si aspettava milioni di visualizzazioni e così tanti commenti?
«È stato un video facile e veloce da realizzare, banale dal mio punto di vista, dove rispondevo alla domanda e in aggiunta mostravo come vestirsi adeguatamente alla temperatura di -90°C wind chill (la temperatura percepita per via del vento gelido, ndr). Una sorta di video “tappabuchi”, in attesa di pubblicare qualcosa di più interessante. Ho preso la videocamera e, con le infradito e la maglietta a maniche corte che indossavo in quel momento, sono uscito come avevo fatto la sera prima. Ho spiegato che si poteva stare fuori abbigliati in quel modo giusto qualche minuto. Dopodiché ho mostrato come vestirsi in modo idoneo per lavorare all’esterno. Il video più semplice e veloce che abbia mai realizzato. L’ho pubblicato e ho raggiunto gli altri per il pranzo. Un’ora dopo, incredulo, ho visto che aveva raggiunto 1 milione di visualizzazioni».
Vivere sulla base, dai suoi racconti su Instagram, dà l’idea della vita su una stazione spaziale. Cosa accomuna due ambienti estremi e così lontani?
«In questo periodo, quello invernale, la vita a Concordia è simile a quella che in futuro avremo in una base su un altro pianeta: siamo irraggiungibili per nove mesi, senza possibilità di soccorso; i ritmi circadiani sono alterati perché il sole non sorge per più di tre mesi di fila; la temperatura scende sino a -80°C; non c’è alcuna forma di vita, c’è una forte carenza di ossigeno e l’aria è secca. Siamo più isolati degli astronauti che orbitano attorno alla Terra a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Questo piccolo gruppo di 13 persone vive quindi un’esperienza totalmente fuori dall’ordinario, analoga a quella che dovranno affrontare i futuri astronauti quando metteranno piede su Marte. Per questo motivo, l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) sponsorizza un medico, parte integrante del team, che ha il compito di monitorarci nell’ambito di alcuni progetti di ricerca nel campo della biologia umana. L’Esa vuole comprendere come il corpo si adatti a un ambiente e a condizioni di vita analoghi a quelli di una futura missione interplanetaria».
Cosa le manca della Sardegna? E cosa le manca dell’Antartide quando sta in Sardegna?
«In realtà non mi manca niente perché vivo la mia vita al presente. Adesso sono qua e penso unicamente alla spedizione. Quando sono in Sardegna faccio lo stesso, mi godo la compagnia di mia moglie, la bellezza della nostra isola e cerco di vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, senza pensare all’Antartide e all’India dove trascorro alcuni mesi all’anno. Non ho grossi progetti per il futuro, fatta eccezione per un romanzo che ho iniziato a scrivere nel 2020 e che vorrei concludere entro il prossimo anno».