La Nuova Sardegna

Intervista

Tomaso Montanari: «Michela Murgia scriveva come forma di lotta politica. L’aula intitolata a lei, luogo dei giovani»

di Paolo Ardovino
Tomaso Montanari: «Michela Murgia scriveva come forma di lotta politica. L’aula intitolata a lei, luogo dei giovani»

La testimonianza del rettore dell'Università per stranieri di Siena: «Amava studiare il coreano»

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Sassari Storico dell’arte, rettore dell’Università per stranieri di Siena, un intellettuale impegnato a tutto tondo. L’affinità elettiva tra Tomaso Montanari e Michela Murgia era naturale. Pubblicamente, Montanari ha le ha rivolto uno degli omaggi più significativi, intitolandole un’aula di Università. Come si fa con i giganti del pensiero. «Ma lei c’è, è ancora presente e si avverte».

Montanari, prima di un ricordo le chiedo una riflessione: qual è oggi l’eredità, il lascito di Michela Murgia nella società e nella nostra cultura?

«Ci sono molti modi per misurare la sua eredità. Un modo più letterario, che non spetta a me, e si vedrà sul periodo più lungo. Quella più evidente però è l’eredità politica. Nel senso più ampio possibile. Mi riferisco alla sua idea di una cultura e una letteratura non come disimpegno ed evasione ma come forma di lotta politica. Lei diceva di scrivere come reazione, era un modo di stare al mondo. Cosa quanto mai importante in un momento come questo, di ritorno di fascismi in tutta Europa, e di una maniera di fare politica eversiva. Questa idea che scrivere e leggere siano un modo di impedire che la nave affondi è di enorme importanza. Oggi? Ancora una volta, per ogni cosa che succede avrebbe una parola chiara, lucida».

Come rettore, lo scorso dicembre le ha intitolato la sala lettura dell’Università di Siena. Perché?

«Lo abbiamo deciso con gli organi del senato accademico, perché Murgia aveva un rapporto con la nostra università. Studiava coreano, aveva un’enorme capacità di interessarsi a tante cose diverse. L’intitolazione è in italiano e in coreano. La scelta dell’aula lettura perché è il luogo degli studenti e delle studentesse, è dove si scardina il mondo».

Proprio per i giovani continua a essere un punto di riferimento.

«Ha avuto la capacità di veicolare il concetto di queer, una comunità che non si fa disciplinare, che per sua natura è incontrollabile».

E il suo rapporto con Michela Murgia?

«L’ho conosciuta come lettore, poi attraverso una comunanza di idee politiche e mondi visti e scritti. E poi – era buffo – ci incontravamo spesso in treno, per caso».

Da lettore, c’è un libro a cui è più affezionato?

«Beh “Accabadora”, penso sia il suo capolavoro».

Murgia con forza, con i suoi scritti, sosteneva la necessità di contrapporsi al pensiero fascista. Il pericolo di un ritorno c’è?

«C’è eccome ed è evidente. Siamo governati da un partito di matrice fascista. Ciò che è stato detto per la strage di Bologna è gravissimo e il progetto di queste persone è l’abbattimento della Democrazia, lo si vede con le proposte del premierato, dell’autonomia differenziata. Non so cosa succederà, ma se questa politica è lasciata a se stessa, senza contrasti, il traguardo è diventare come l’Ungheria. La repressione del dissenso, l’egemonia culturale che è occupazione delle poltrone, le denunce ai dissidenti: mettendo insieme molti indizi, bisogna essere proprio ciechi per non vedere un certo ritorno».

L’elezione di Todde in Sardegna sembrava l’apertura di un varco per l’opposizione alla destra anche in Italia...

«Quello di Todde è stato un successo di misura, con la problematica dell’astensionismo. Non si è ripetuto nel resto del Paese anche perché il problema del Partito democratico è che ha tante anime ma non quella del cambiamento. Todde era candidata dai 5 stelle e ha dato una chiave tra le due forze alleate. Ma altrove non è successo, a oggi rimane una pagina senza seguito».

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