Tremila firme per il corso Queer all’università di Sassari, Federico Zappino: «Sostegno che mi dà forza»
Il docente dell’ateneo: «La gogna mediatica? Era messa in conto»
Sassari Il corso Queer dell’Università di Sassari non solo è un caso nazionale, dopo essere finito al centro di una interrogazione parlamentare da parte del deputato leghista Rossano Sasso. Ora ha varcato i confini con una petizione internazionale firmata in pochi giorni da quasi 3mila accademici, ricercatori, attivisti. Il primo nome, nero su bianco, è quello di Judith Butler, filosofa statunitense, uno dei massimi esponenti della teoria gender. Tutti sostengono il professor Federico Zappino, docente del “Corso di teoria Queer” nell’ateneo sassarese.
Immaginava un simile polverone?
«Ammetto che la cosa non mi ha sorpreso. Se i contenuti del mio insegnamento possono suscitare gli attacchi violenti e carichi di odio ai quali abbiamo assistito, da parte di un deputato di maggioranza, è perché non c’è consenso unanime attorno al fatto che le varie forme di oppressione, diseguaglianza e violenza di genere e sessuale siano degne di un’attenzione accademica e scientifica, oltre che politica e pubblica. Ma ciò è avvenuto anche perché sono da tempo in atto strategie politiche volte a imprimere una svolta autoritaria alle democrazie liberali e costituzionali».
Ha apprezzato gli interventi in aula dei parlamentari, che ne pensa?
Penso che Francesca Ghirra, deputata di Alleanza Verdi Sinistra, sia stata ineccepibile. Ha ribaltato l’ordine del discorso, invocando lei stessa l’intervento della Ministra Anna Maria Bernini affinché stigmatizzasse simili, pretestuosi, tentativi di aggirare il principio costituzionale della libertà di ricerca e di insegnamento. Vorrei che le arrivasse il mio ringraziamento più sentito».
L’onorevole Sasso pensa che un corso come il suo possa condizionare una generazione di studenti. È così pericoloso insegnare le teorie di genere e queer?
«Io invece penso che simili considerazioni siano enormemente offensive non nei miei riguardi, ma nei riguardi degli studenti e delle studentesse che un qualunque deputato dovrebbe rappresentare e servire. Sono parole inquietanti, se proferite nei riguardi di persone maggiorenni che hanno coscienza di sé, relazioni, sentimenti, desideri, bisogni. Se c’è qualcosa di pericoloso, questo è privare le persone più giovani degli strumenti critici che consentano loro di orientarsi nel mondo, di comprendere la realtà in cui vivono, e anche di difendersi, se necessario, e di non sentirsi sole.
Tra le dispense ha inserito anche il testo di Mario Mieli, per la quale ha ricevuto critiche violentissime. Cosa risponde?
«Un estratto dal testo di Mieli era una dispensa a scelta degli studenti lo scorso anno. Chi lo ha letto lo ha anche molto apprezzato. Ma al di là di questo, penso che sia evidente a chiunque che usare il testo di Mieli come grimaldello per giustificare una gogna pubblica, insieme alla pratica di carpire frasi a caso per farne dei parafulmini, è sintomatico di un anti-intellettualismo raccapricciante, oltre che di un tentativo di proiettare su chiunque l’incapacità di leggere un libro criticamente, senza sottomettersi ad esso. Se non si vuole che il testo di Mieli sia letto da studenti universitari maggiorenni, si abbia il coraggio di indire un indice dei libri proibiti. Ma mi sembra molto difficile che ciò possa accadere. Il testo di Mieli è pubblicato da uno dei più importanti editori italiani, è venduto in qualunque libreria, è stato tradotto in molte altre lingue e costituisce un testo unanimemente riconosciuto come un classico. La Rai, pochi anni fa, ha dedicato addirittura un film a questo ragazzo omosessuale morto suicida oltre quarant’anni fa, quando l’omosessualità era ancora considerata una malattia. Soprattutto, gli studenti e le studentesse dell’università sono decisamente diversi da come se li immagina il deputato: leggono, dibattono, litigano, fanno domande, fanno attivismo politico, prendono posizione sui fatti del mondo. Addirittura, scelgono cosa è giusto per sé».
Ha ricevuto il sostegno di moltissimi intellettuali, questo la conforta?
«La solidarietà e il sostegno costituiscono le risorse primarie che consentono di affrontare un attacco violento. E sono state unanimi e immediate, non solo da parte delle università, ma anche dalla politica e dall’associazionismo, a vari livelli, fra cui l’Anpi, la Cgil, il Mos, l’Arc di Cagliari, e il circolo Mario Mieli di Roma. Tuttavia, la questione non può ridursi alla solidarietà nei miei confronti, ma deve estendersi alla denuncia serrata, e senza esitazione, di queste pratiche. Direi che le oltre 3mila persone che, in Italia e nel mondo, mi stanno sostenendo, stanno proprio muovendo questa denuncia serrata, senza esitazione alcuna».
E l’Università di Sassari?
«La cosa che più mi interessa è che gli studenti abbiano preso una posizione. E l’hanno presa, inequivocabile. Innanzitutto coloro che frequentano i miei corsi e i seminari. Ma ho ricevuto anche solidarietà da parte di colleghi e colleghe, e non avevo dubbi a riguardo. L’università è un luogo aperto e plurale, e chi vorrebbe un’università ben chiusa rispetto a ciò che è diverso dalla norma, è perché vuole anche una società di questo tipo».