Michele Sini: «Ero in Guatemala e ho avuto la malaria: tre giorni di deliri»
Docente volontario di una missione umanitaria
Sassari Viaggi esotici e malaria, un connubio triste e frequente. Il recente caso di Carlo Iervolino, l’imprenditore olbiese morto all’ospedale Giovanni Paolo II dopo aver contratto la malaria in un viaggio a Zanzibar, ha riacceso i riflettori sui rischi e sulla prevenzione.
La storia di Michele Sini, 44 anni, sassarese, è a lieto fine. Le lancette del tempo tornano al 2005, quando Michele è volato in America centrale, in Guatemala. «Mi trovavo nella regione del nord per una missione umanitaria», un progetto che univa educazione e salute, con l’associazione Amici del Guatemala e insieme ai missionari Padre Giorgio Pittalis e Padre Ottavio Sassu di Bonarcado. «Ero lì come professore volontario». Tra le varie attività, un giorno porta una classe in gita al lago. Probabilmente in quel momento ha contratto la malaria. «Devo fare una premessa, la variante presente lì in centro America è meno aggressiva della malaria africana – spiega Sini –. Io ho avuto la sfortuna di prenderla insieme alla febbre Dengue». La fortuna, invece, è stata trovarsi in un contesto dove tutti erano preparati: «Sì, con noi c’erano le suore e sapevano come intervenire. Per via dei molti casi, lì appena si palesano dei sintomi si pensa subito alla malaria. Mi hanno dato delle pastiglie di chinino, quattro giorni dopo ero in piedi».
Ma quelle 72 ore sono state un purgatorio per uscire dall’inferno: «Come nei film – scherza oggi Michele Sini –. Ho avuto la febbre alta, oltre i 40 gradi, poi dolori lancinanti alle ossa e alle articolazioni. E in quei tre giorni ho avuto deliri, inevitabilmente perdi la lucidità».
In fatto di prevenzione, prima della partenza non c’era alcun obbligo vaccinale riguardo la malaria, «ma c’era la possibilità di assumere proprio del chinino. Chi era con me però me lo ha sconsigliato, perché aveva effetti pesanti sul corpo. Per febbre gialla e altre malattie virali invece i vaccini erano obbligatori». La vita di Michele Sini ora è lontana tanti chilometri dal Guatemala e diversa. Abita a Roma dove lavora come location manager e ispettore di produzione nel settore dell’audiovisivo, quindi per cinema e pubblicità. «Quella era la prima esperienza di volontariato ma poi ho continuato, sono andato anche in Perù». Anni dopo, gli unici strascichi li ha scoperti da poco, quando è andato col fratello a donare il sangue: «Ma ho scoperto di non poterlo fare proprio perché ho avuto la malaria».