Igor Sollai: «Non ho ucciso Francesca per i soldi, è stato un raptus»
Il pm ha contestato la premeditazione, il marito della Deidda nega: «L’ho colpita durante un litigio»
Cagliari Nessuna premeditazione: Igor Sollai ha detto al pubblico ministero Marco Cocco, che lo ha interrogato per quasi cinque ore nel carcere di Uta, di non aver mai pensato di uccidere la moglie Francesca Deidda, ma che quello commesso sarebbe stato un delitto scaturito da un raptus durante un litigio. Il classico “delitto d’impeto”.
Il magistrato gli avrebbe appunto contestato la premeditazione, ma il reo confesso, davanti agli avvocati difensori Carlo Demurtas e Laura Pirarba, ha negato e avrebbe anche detto che non mirava ad intasare i 100mila euro dell’assicurazione reciproca che la coppia aveva stipulato qualche tempo fa.
La confessione del delitto era avvenuta il 21 novembre scorso nel corso dell’interrogatorio che il pubblico ministero Cocco aveva condotto, sempre nel carcere di Uta, per quattro ore.
Per oltre sei mesi, Igor Sollai, arrestato il 4 luglio, aveva continuato a negare con fermezza di essere l’autore dell’uccisione della moglie avvenuta il 10 maggio. Ci sono voluti sei mesi e venti giorni di riflessioni in prigione, di interrogatori in cui l’uomo si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere se non per ribadire la propria innocenza, di confronti con i propri avvocati prima che Igor Sollai gettasse la maschera davanti al pm: «Si, l’ho uccisa io, non riesco a rendermi conto di quello che ho fatto. Mi sembra impossibile».
Aveva anche raccontato come quella sera del 10 maggio erano andate le cose: marito e moglie, nel loro appartamento di via Monastir a San Sperate, avevano avuto una nuova e accesa discussione sul matrimonio finito a rotoli, forse con le accuse di lei al marito circa una nuova relazione sentimentale dell’uomo. A quel punto Igor Sollai – secondo quanto da lui raccontato – avrebbe preso un martello e colpito in testa più volte Francesca, che in quel momento si trovava seduta sul divano del soggiorno a guardare la televisione.
Poi avrebbe chiuso il cadavere all’interno di un borsone nero e per andare ad abbandonarlo nella vegetazione a bordo strada sulla vecchia orientale 125, poco prima del ponte romano sul Rio Sa Picocca, in località San Priamo. Fin qui la sua confessione al magistrato.
Una ammissione di colpa resa, presumibilmente, davanti alle prove inconfutabili raccolte meticolosamente dai carabinieri del nucleo investigativo provinciale, da quelli della compagnia di Iglesias e dagli specialisti del Ros e Ris, con il coordinamento delle indagini del pm Cocco.
Quando i giochi sono stati sparigliati dagli investigatori attraverso l’acquisizione di prove pesantissime a suo carico, non rimaneva che confessare il delitto e collaborare. Ma non c’è mai stata, sino a questo momento, l’ammissione di un movente.
Un particolare, questo, che farebbe scattare automaticamente la premeditazione, con il peso accusatorio di omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere diventato un macigno.