La Nuova Sardegna

Ristorazione

Cristiano Ardau: «Colonizzazione del gusto, in Sardegna è difficile brandizzare i nostri piatti»

Cristiano Ardau: «Colonizzazione del gusto, in Sardegna è difficile brandizzare i nostri piatti»

Il segretario regionale Uiltucs: «Le multinazionali non trovano argini»

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Sassari La Sardegna diventa la nuova frontiera delle grandi catene alimentari. «Tutti aprono tutto – dice Cristiano Ardau, segretario regionale della Uiltucs – spero che ci siano dietro almeno delle approfondite indagini di mercato».

Di sicuro c’è che il sardo difficilmente rinuncia al gusto di sedersi a tavola: «Lo abbiamo visto durante il lockdown: la gente soffriva per l’astinenza da aperitivo. E quando la vita si è di nuovo normalizzata, tutti hanno ripreso con le buone vecchie abitudini di andare a mangiare fuori. Si può rinunciare a un capo di abbigliamento o si lesina sulla cultura: ma al piacere della tavola, a quello no».

La globalizzazione però porta con sé nuove abitudini: «Prima c’era il bar e la trattoria, adesso c’è una varietà di servizi molto più ampia, adatta per qualunque gusto. Il palato italiano si è evoluto con la tv, e con gli chef protagonisti dello schermo a tutte le ore. Il cliente è cento volte più esigente e curioso: addio al menù completo, fatto di primo, secondo, contorno e dolce. Chi non si specializza in cucina è destinato a morire, il menù ingessato da 20 anni non può più reggere. Il fast food a basso costo ha sempre un appeal di massa, ma funzionano anche le offerte più di nicchia, come il biologico, i piatti esotici, la fascia dietetica, la filiera corta, le contaminazioni gastronomiche, i prodotti genuini. Basta vedere quanti corsi per sommelier sono spuntati, o per preparare il pane fatto in casa, o i corsi di cucina. Insomma, il piccolo ristoratore che non si specializza, rischia di soccombere davanti all’avanzare delle grandi catene del food globalizzato. La prossima frontiera sarà quella dei locali a tema, che in altre città hanno trovato terreno molto fertile. Mi riferisco ad arredamento Western, o marinaresco, oppure cartoni animati o super eroi, e basta googolare un po’ per vedere quante alternative ci sono in giro».

C’è anche che l’isola non è in grado di innalzare sufficienti argini alla colonizzazione alimentare. «La Sardegna ha difficoltà a brandizzare il proprio cibo. È molto facile mangiare un hamburger o una bistecca di angus argentino, perché il bue rosso del Montiferru, giusto per fare un esempio, non si affaccia allo stesso modo nei menù e nelle tavole. Non c’è uno street food sardo così concorrenziale, e gli agriturismi non hanno la forza per contrastare questa invasione barbarica dell’enogasronomia».

E soprattutto i menù di Burger King o Mc Donald’s ormai furbescamente strizzano l’occhio alle tradizioni e alla genuinità, con panini griffati Bastianich, o ingredienti tipici presi in prestito dalla produzione locale. E poi Deliveroo come estensione mobile delle grandi catene, che porta a domicilio ogni piatto.

Sul fronte contrattuale, invece, ci sono due facce della medaglia: «Contratti part time da 700-900 euro, cioè circa 6 euro all’ora, con turni pesanti e non ci sono feste che tengano. Molta precarietà all’inizio, con stabilizzazioni dopo alcuni mesi. Però, dall’altro lato, il nero è pressoché assente, con assunzioni regolari. Il nero, purtroppo, continua a proliferare nella ristorazione più piccola». (lu.so.)

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