Il casinò nascosto nei videogame, lo psicologo: «I bambini allevati all’azzardo»
Luca Pisano: «I pacchi premio danno dipendenza»
Sassari I genitori non lo sanno, ma stanno allevando una generazione Z di potenziali ludopatici. Il nuovo azzardo è digitale, invisibile. E legale. I ragazzini lo scoprono presto, prima ancora di imparare le tabelline. Si chiama “loot box”, una specie di “paga e spera”. Il sistema è semplice, quasi geniale. Funziona così: giochi a un videogioco, che può essere Fortnite, Stumble Guys, Fifa, Minecraft giusto per citare i più diffusi. Combatti, vinci, perdi. Poi il sistema ti invita a “migliorarti”. Vuoi un’arma più potente? Vuoi la skin rara che ti rende unico? Non si vince con l’abilità, ma con il portafoglio di papà e mamma.
Le loot box sono pacchetti a sorpresa che i videogiochi offrono in cambio di denaro reale o di una valuta virtuale, acquistata con soldi veri. Una volta aperte, contengono premi assegnati casualmente. Può essere un oggetto utilissimo o qualcosa di completamente inutile. Dipende dalla sorte. I bambini, però, non vedono il meccanismo. Ignorano che le loot box sfruttano le stesse dinamiche psicologiche delle slot machine. Non sanno nemmeno che le probabilità sono truccate, che la loro voglia di giocare è manipolata da algoritmi progettati per tenerli agganciati. Quello che vedono è la possibilità di ottenere un’abilità speciale, qualcosa che li faccia sentire unici e vincenti. Ed è qui che scatta la trappola. Perché se la prima loot box non dà il premio sperato, c’è sempre la prossima. E poi un’altra. E un’altra ancora.
Luca Pisano, psicoterapeuta e direttore dell’Osservatorio Cybercrime Sardegna, è preoccupato: «La mia generazione è stata allevata con l’azzardo delle figurine Panini. Ma adesso il fenomeno dell’unboxing, cioè dello spacchettamento, sta prendendo una piega pericolosa. Soprattutto sui bambini. È un meccanismo che vivono quotidianamente, anche in Tv, con programmi come Affari Tuoi. Ma nei videogiochi che usano ore e ore al giorno, il loot box è l’imprinting del gioco d’azzardo. Fateci caso: quanti ragazzini hanno chiesto a Babbo Natale un Super Pass per il loro videogioco? La nuova generazione sta iniziando a sperimentare sulla propria pelle cosa significhi la dipendenza da azzardo».
Psicologi e ingegneri del comportamento hanno progettato ogni dettaglio: i suoni festosi quando la scatola si apre, le luci che lampeggiano, l’adrenalina che sale. È una slot machine travestita da gioco. Solo che qui i giocatori non sono adulti consenzienti, ma bambini di 8, 10, 12 anni. «Le aree del cervello stimolate sono le stesse sulle quali agiscono le sostanze stupefacenti – spiega Pisano – con produzione di Serotonina e Dopamina. Proprio come le droghe». Non a caso il mercato globale delle loot box generano oltre 25 miliardi di dollari l’anno. Cifre astronomiche. Le multinazionali dei videogiochi non lo dicono apertamente, ma vivono di questo e riempiono i loro titoli di tali meccanismi. Lo chiamano “engagement”, fidelizzazione. Ma è solo un altro modo per dire dipendenza. Sanno che un bambino è più facile da manipolare di un adulto. Sanno che la promessa di qualcosa di raro – un oggetto, una vittoria, un riconoscimento – crea una dipendenza silenziosa, subdola.
Secondo un’indagine europea, il 35% dei bambini tra i 10 e i 16 anni ha acquistato almeno una loot box. E molti di loro non si fermano alla prima. C’è chi ha speso centinaia, a volte migliaia di euro, inseguendo quel colpo di fortuna che sembra sempre a portata di mano. «Le statistiche dicono che una fascia che va dal 12 al 20 per cento degli adolescenti gioca d’azzardo online. Ma se dovessimo inserire nella categoria anche le loot box, allora arriveremo tranquillamente al 70% dei ragazzini». Solo che le scatole a premi al momento non sono considerate gioco d’azzardo, perché non offrono denaro come premio. Ma il confine è sottile. Sottilissimo. «Infatti – prosegue Luca Pisano – in molti Paesi, qualcosa si muove. In Belgio, le loot box sono vietate ai minori. Al gioco Fifa hanno imposto delle restrizioni».
In Francia e Germania si discute di misure simili. In Italia, invece, tutto tace. Lo Stato si volta dall’altra parte: troppo complicato regolamentare un mercato che genera miliardi. E purtroppo, mentre tutto questo accade, anche il mondo degli adulti rimane in silenzio. I genitori, spesso inconsapevoli, pensano che i videogame siano innocui. «E invece sono altamente diseducativi: insegnano che i risultati e il successo si possono ottenere subito e con i soldi, oppure con un colpo di fortuna. Ma la vita funziona diversamente, e le cose le conquisti con l’impegno e con la fatica».
Il bambino di dieci anni invece rimane lì, seduto sul divano. Apre un’altra cassa. Poi un’altra ancora. I suoi occhi si illuminano ogni volta, sperando che questa sia quella giusta. E una generazione cresce imparando a rischiare tutto per non ottenere niente.