La Nuova Sardegna

Il commento

Dazi Usa, il Consorzio del pecorino romano: «Stati Uniti fondamentali, ma ci sono altri mercati»

Dazi Usa, il Consorzio del pecorino romano: «Stati Uniti fondamentali, ma ci sono altri mercati»

Il presidente Gianni Maoddi: «Siamo meno esposti rispetto a sei anni fa»

3 MINUTI DI LETTURA





Sassari L’imperativo è restare ottimisti. Anche al Consorzio del Pecorino Romano. D’altra parte, la minaccia di Trump, pronto a inasprire i dazi doganali, non è una novità e nel 2019 si era addirittura rivelata una clamorosa opportunità per i produttori di pecorino romano e per l’intero indotto che, all’epoca, navigava a vista con il prezzo del latte a 60 centesimi al litro e con la protesta dei pastori che occupava strade e piazze di tutta l’isola.

«Nel 2019 il prezzo medio del pecorino romano era di 6,39 euro al chilo. Durante la protesta di febbraio, il Romano valeva 5,30 euro al chilo. Oggi il pecorino romano costa 12,20 euro al chilo, il doppio rispetto a sei anni fa. Questo mi fa pensare che eventuali dazi possano essere assorbiti meglio – spiega il presidente del Consorzio, Gianni Maoddi –. Inoltre, negli ultimi anni sono cresciuti altri mercati e la nostra dipendenza dagli Stati Uniti è cambiata. Oggi esportiamo negli Usa 13mila tonnellate su una produzione complessiva di 36mila tonnellate, la quota per gli Stati Uniti è del 35%. Sei anni fa superavamo il 45%».

Resta il pericolo che Trump faccia orecchie da marcante con la Cheese Importers Association of America Inc, che gli aveva fatto cambiare idea nel 2019 sventolando i dati sul calo dell’occupazione che avrebbero generato le imposizioni tariffarie sui prodotti ovini, e che mantenga la parola confermando i dazi al 25%: «Facciamo due conti: 13mila tonnellate generano 170 milioni di euro di fatturato – aggiunge Maoddi – un dazio del 10% inciderebbe per 17 milioni. Se invece fosse del 25%, sarebbero 42 milioni e mezzo». Un’eventualità che a Macomer, sede del Consorzio, preferiscono sacrificare sull’altare dell’ottimismo. Ma per evitare sgradite sorprese, l’attenzione è focalizzata sulle uniche vie d’uscita attualmente possibili: «Gli altri mercati – conferma il presidente del Consorzio –. Dobbiamo trovarne nuovi mantenendo vivi gli altri, compreso quello Usa che è di gran lunga il più importante».

Eppure il Nord America, dove il Romano piace tantissimo, non è solo Stati Uniti: «Il Canada è un mercato importante, per questo ci stiamo puntando con un progetto dedicato. Però, al momento, non c’è paragone e mettendo a confronto i due pesi, Canada contro Usa, parliamo di 7 mila quintali su 130 mila. Attualmente il mercato canadese vale appena il 5% del mercato statunitense. Per questo continuiamo la ricerca e abbiamo progetti in Giappone, Svizzera, Inghilterra e Germania. Dobbiamo tutelate questi mercati puntando anche sulla promozione del nostro prodotto».

Resta il mercato domestico, dove il Romano non recita il ruolo del leader: «Ma è importante, per quanto non come quello Usa. In Italia vendiamo 80, 100mila quintali, il 30% del totale. In questi anni si è sviluppato sui piatti pronti, sulle salse, quello che chiamiamo “mercato industriale”. La distribuzione organizzata invece fa fatica, ma il problema non è il prodotto ma il sistema tradizionalista e lo scarso potere di spesa della le famiglie italiane». (c.z.)

Primo piano
Le reazioni

Squalifica, Sinner: «Avrò più tempo per stare con la famiglia e gli amici»

di Roberto Muretto
Le nostre iniziative