Camici bianchi in bilico: da liberi professionisti a impiegati pubblici
Incertezza nel Governo sulla proposta di alcune Regioni
Sassari Il dibattito sulla riforma della medicina generale si accende. Al centro della polemica c'è l'ipotesi, sostenuta da alcune Regioni come Lazio e Veneto, di trasformare i medici di famiglia da liberi professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale a dipendenti pubblici. L'obiettivo sarebbe garantire la presenza dei medici nelle oltre 1350 Case di comunità finanziate con 2 miliardi dal PNRR, che altrimenti rischiano di restare strutture vuote.
La proposta di riforma, ancora in fase di definizione, prevede che i nuovi medici di famiglia vengano assunti come dipendenti, mentre gli oltre 37mila medici già in servizio potranno scegliere se mantenere il proprio status di autonomi o diventare dipendenti. Le Regioni spingono per questa opzione, ritenendo che sia più semplice gestire e assegnare i medici nei territori dove servono, come le Case di comunità o le aree più isolate. La scelta del medico da parte dei cittadini resterebbe comunque garantita.
Ma la riforma incontra forti resistenze. I sindacati dei medici la contestano duramente, mentre all'interno della maggioranza Forza Italia si oppone fermamente e ha presentato una proposta di legge per mantenere il rapporto convenzionale attuale. Un altro nodo da sciogliere riguarda i costi: contrariamente ai timori espressi dai sindacati, i conti del Governo suonano diversi. Oggi un medico di famiglia con almeno 1500 assistiti costa in media 120mila euro l'anno, quindi più di un dipendente pubblico. Nel 2023, la spesa per la medicina in convenzione ha raggiunto i 6,7 miliardi di euro, secondo la Ragioneria generale dello Stato. I sindacati sostengono invece che un dipendente pubblico costi mediamente il 40 per cento in più di uno statale. Insomma, il braccio di ferro è in atto. E l'incertezza politica pesa sulla riforma. Forza Italia frena, la premier Giorgia Meloni teme l'impopolarità della misura tra i cittadini, sempre molto sensibili alle questioni sanitarie. E così, per la riforma della medicina generale, ci sarà ancora da aspettare.
Il vertice a Palazzo Chigi tra Governo e Regioni - con la premier Meloni, i vicepremier Tajani e Salvini, i ministri Schillaci e Giorgetti, e i governatori Fedriga, Rocca e Cirio - si è concluso con un generico impegno a rivedersi al più presto per definire una bozza di riforma condivisa.
Il sindacato Fimmg ribadisce la propria contrarietà netta alla riforma, ma senza arroccamenti verso possibili alternative: «L’accordo nazionale ha già previsto le Aft. Sono le Aggregazioni Funzionali Territoriali, e per Sassari ne sono programmate due. Tutti i medici di quella Aft, dovranno garantire il servizio h24, sette giorni su sette. Noi abbiamo 120 medici per 120mila abitanti. Cinque ambulatori di ogni Aft resteranno aperti, a turno, all’ora di pranzo. E il coordinamento delle Aft dovrebbe essere in capo alle associazioni di categoria. In questo modo si migliorerebbe il servizio, senza inutili e dannose rivoluzioni». (lu.so.)