Lockdown, mascherine e Dpcm: ecco le immagini della Sardegna nell’incubo Covid
Strade deserte, file ai supermercati e i bollettini serali su decessi e contagi
Sassari Autocertificazione, distanziamento, lockdown, dpcm, assembramento, congiunti, smartworking, zona rossa, tampone, virologi, green pass. Cinque anni fa il nostro vocabolario si è arricchito di parole che non avremmo mai voluto utilizzare. Parole che, risentendole oggi, ci riportano indietro a un’epoca che le nostre menti sembrano avere rimosso.
Cinque anni fa il mondo è precipitato nell’abisso del Covid. Quasi 16 milioni di morti. Oltre 216mila nella sola Italia, uno dei Paesi più colpiti dalla pandemia, circa 3mila in Sardegna. Nonostante oggi certa politica, anche in posti di governo, strizzi l’occhio a no-vax e negazionisti con prese di posizione e voti ambigui in commissione, impossibile cancellare dai nostri occhi le immagini dei camion di Bergamo con le bare, quelle 11 pagine di necrologi sull’Eco di Bergamo del 14 marzo, medici e infermieri stremati costretti a turni infiniti, il Papa che prega in una piazza San Pietro deserta.
E poi quel bollettino quotidiano che ogni giorno vedeva crescere il numero delle vittime, quei decreti del presidente Conte che fissavano regole e paletti - col senno di poi qualcuno sicuramente poco sensato - che hanno inevitabilmente cambiato il nostro modo di vivere. Da un giorno all’altro la nostra libertà è stata fortemente limitata per motivi di sanità e sicurezza. La vita si è come fermata, è andata in letargo. Non c’era più nulla di aperto. Scuole, biblioteche, musei, negozi, ristoranti, bar avevano tutti le serrande abbassate.
Anche in chiesa si era smesso di dire messa. Resistevano solo i supermercati ma solo per i beni di prima necessità, le farmacie, le edicole, ma con obblighi di distanziamento, mascherine, guanti. E si poteva uscire di casa solo se c’era un motivo urgente, ma sempre con l’autocertificazione in tasca. I primi giorni, forse per la novità, chiusi in casa si passava il tempo a cantare dai balconi, a cucinare di tutto e di più, a fare aperitivi in videochiamata.
Ma quei giorni tutti uguali, avvolti in un silenzio interrotto solo dalle sirene delle ambulanze, sono diventati una prigione da cui molti, troppi non hanno avuto la fortuna di uscire, mentre tutti gli altri abbiamo dovuto attendere mesi prima che il vaccino ci desse la speranza di ritrovare quella libertà perduta e di riprenderci la vita. (alessandro pirina)