La Nuova Sardegna

Sul tavolo del rinnovo contrattuale per il comparto Istruzione e Ricerca sono finalmente atterrati i primi numeri. L’Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) ha presentato gli incrementi lordi mensili previsti: si parte dai 130 euro per il personale Ata, si sale a 150 euro per i docenti, 174 euro per chi lavora nel settore Afam (alta formazione artistica, musicale e coreutica), 142 euro per i dipendenti delle Università, fino ad arrivare ai 211 euro previsti per chi opera negli enti di ricerca.

Il comparto istruzione è il più ampio della pubblica amministrazione, con 1,3 milioni di lavoratori su un totale di 3,2 milioni. Antonio Naddeo, presidente dell’Aran, ha definito la ripresa del negoziato «un passo importante per il riconoscimento economico e professionale di un settore strategico». Ma la strada è ancora lunga: il prossimo incontro è previsto dopo le elezioni delle Rsu di aprile, passaggio che potrebbe incidere sugli equilibri sindacali. Nel frattempo, i conti parlano chiaro: per il triennio 2022-2024, l’aumento medio previsto è del 6%, in linea con gli altri comparti pubblici. Ma se si guarda al periodo 2019-2027, le risorse complessive già stanziate per il comparto istruzione ammontano a 9,1 miliardi di euro, pari a un aumento medio del 16,47%. Tradotto in busta paga, si tratta di circa 400 euro in più al mese. Il governo, dal canto suo, ha già accantonato le risorse anche per il rinnovo successivo (2025-2027), sebbene i negoziati non siano ancora partiti. Ma resta tensione sul fronte sindacale: Cgil e Uil, che insieme rappresentano il 42% del personale scolastico, chiedono più fondi e hanno già bloccato i rinnovi per sanità ed enti locali, provocando la reazione del ministro della PA, Paolo Zangrillo, che ha minacciato un intervento normativo in assenza di accordi.