«Per il gioco ho perso tutto, a S’Aspru provo a rinascere»
La storia di Luca, 45 anni, rovinato dal vizio per le carte, da tre anni è in comunità: «Ho visto gli usurai spezzare entrambe le braccia a martellate a un debitore»
SASSARI. «Mi ricordo una sera. Giocavo a carte. Sono scese tre persone. Una è venuta verso di me con una pistola. Me l’ha puntata alla testa e mi ha detto “tu non stai vedendo nulla”. Le altre due hanno preso l’uomo che era vicino a me, l’hanno buttato a terra e con una mazzetta da cinque chili gli hanno completamente spappolato le braccia dal gomito in giù. Braccio sinistro e braccio destro. Gli doveva 40mila euro, ed era in ritardo di due giorni».
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Non sembra che stia parlando di sè Luca, di quella vita malata da cui, tre anni fa, è fuggito, il giorno in cui «guardandomi allo specchio ho capito che da solo non ce la potevo fare». Sassarese, 45 anni, bella presenza, cervello fine, carisma e parlantina. La stessa che gli ha permesso per anni di barcamenarsi tra debiti e bugie, di uscire vivo dal pozzo buio e profondo dell’usura, di chiedere aiuto quando le parole, le strade, le speranze erano finite, insieme ai soldi, gli amici, la famiglia, il matrimonio, il lavoro. Ora è a S’Aspru, la “trincea” costruita dall’associazione Mondo X in 35 anni di sudore e sconfitte, di fatica e risultati straordinari nelle campagne di Siligo. Su quella terra da lavorare sono passati centinaia di ragazzi. Anime perse e ritrovate. Qualcuno è scappato, qualcun altro c’è morto, ma la maggioranza ha ridato un senso alla propria vita.
Ci prova anche Luca, unico ospite con diagnosi di Gap, gioco d’azzardo patologico. «Mai preso sostanze – racconta – mai stato dipendente da nulla. La mia droga sono sempre state le carte. Quando tornavo a casa da lavoro cenavo, stavo un po’ con la mia ex moglie e poi quando lei andava a letto iniziavo a giocare a poker su internet. Il fine settimana andavo a caccia di sale e bische, in tutto il nord Sardegna. O facevo le solite partite con gli “amici”».
Un rapporto già malato, che Luca pensa però di tenere sotto controllo. Fino a quando la vita intorno inizia a scricchiolare. I due genitori muoiono a poca distanza uno dall’altro. Il matrimonio entra in crisi. «Tutto mi scivolava addosso. Pensavo solo a giocare. Sempre di più, sempre più forte». I soldi risparmiati finiscono in fretta, lavorare è sempre è più difficile. Le carte, quella partita persa, quella puntata sbagliata, sono un tarlo che scava a tutte le ore, non lascia spazio per altro. «Inizio ad affondare nei debiti. Prima con le finanziarie e le banche, finché mi stanno dietro. Poi con la famiglia, con gli amici. Come trovavo delle persone deboli ne approfittavo e riuscivo a prendergli dei soldi con qualsiasi scusa, mentendo, falsificando, promettendo, sapendo che non avrei mantenuto. E rilanciando sempre. Dovevo 5mila euro a una persona? Mi pressava per riaverli? Cercavo qualcuno a cui prenderne 10mila. E gli altri 5mila li giocavo. Perché io ero sempre convinto che prima o poi avrei recuperato tutto quanto».
Il recupero non arriva. Il gioco diventa ragione di vita, la condanna ma anche l’unica via possibile di salvezza. Poker, l’Hold’em, diventato famoso in tv con tornei show e campioni milionari, gratta e vinci, scommesse. Sale regolari e bische, ville e scantinati.
Giri sempre peggiori, e un buco che diventa una voragine. «Alla fine sono arrivato a dovere 100mila euro – racconta – e più niente intorno. Famiglia, amici, fiducia. Le piccole truffe, le chiacchiere e le bugie non bastavano più, nessuno mi dava più niente. E allora devi avere a che fare con certe persone. Che sono lì dove giochi, che sono amichevoli, all’inizio. E quelli non aspettano. Hanno iniziato a seguirmi, a venire sotto casa. Stavo in giro e mi guardavo le spalle, sempre. Poi si sono avvicinati a mia sorella. L’hanno minacciata. A quel punto mi sono sentito schiacciato, più che dai debiti da tutte le bugie che avevo detto, da tutto il male che mi stavo e stavo facendo. Ho capito che da solo non ce l’avrei mai fatta». Arriva l’aiuto, la comunità, la fatica. «Non è facile mettere a tacere i propri dèmoni. Ma mi sento un miracolato. Vivo, pronto a riparare, a rinascere». (g.bua)