Abbandonò il figlio appena partorito sotto un’auto, per il Riesame è tentato omicidio
Il caso a Osilo, accolto l’appello della Procura. La mamma 29enne del bimbo non andrà però in carcere
Sassari «La volontà dell’indagata non era semplicemente quella di abbandonare il figlio, cosa che avrebbe potuto fare in vari modi salvaguardando la vita del piccolo, bensì quella di esporlo volontariamente a plurime e combinate fonti di pericolo per la vita, dalle quali non poteva che conseguire l’esito letale».
C’è un nuovo colpo di scena nella vicenda del neonato partorito e abbandonato dalla propria madre sotto un’auto, a Osilo, nella notte tra il 17 e il 18 ottobre scorsi. Il tribunale del Riesame infatti, accogliendo l’appello dei pubblici ministeri Maria Paola Asara e Paolo Piras contro l’ordinanza del gip, ha riqualificato il reato contestato alla donna (una 29enne di Osilo) da abbandono di minore a tentato omicidio.
Per il collegio presieduto dal giudice Antonello Spanu nella fattispecie non si deve parlare di “dolo eventuale” ma di “dolo intenzionale”. Questa madre, in sintesi, «non si è limitata ad abbandonare il neonato esponendolo a pericolo per la propria incolumità – è scritto nel provvedimento del Riesame – ma ha agito deliberatamente per determinare le condizioni dalle quali sarebbe derivata la morte del suo bambino, che sarebbe sopraggiunta con ragionevole certezza senza l’intervento salvifico della nonna».
E le ragioni a supporto di questa convinzione sono ben esposte nell’ordinanza. Prima di tutto «il posizionamento in piena notte (tra le 3 e le 4 del mattino ndc) del neonato in un punto non visibile e non facilmente raggiungibile, al di sotto dell’auto della madre (nonna del bimbo ndc) che di lì a poco sarebbe stata movimentata, con una manovra che avrebbe con alta probabilità provocato lo schiacciamento del neonato». Ma ancor prima, scrivono i giudici, «la morte sarebbe sopraggiunta per l’esposizione del neonato completamente nudo e privo di qualsiasi protezione a plurimi e concomitanti fattori di rischio: l’abbandono sul manto stradale umido (a quell’ora pioveva ndc) e al freddo della notte (era già in ipotermia ndc), nonché la fauna selvatica o randagia locale (la cui presenza era ben conosciuta dalla donna che peraltro aveva pubblicamente espresso sdegno per la presenza di numerosi ratti nella zona da lei abitata)».
Ulteriore elemento considerato “indicativo della volontà omicidiaria intenzionale” o quantomeno “diretta” sarebbe il fatto che la donna «una volta partorito e liberatasi del bambino, non abbia mai chiesto soccorso e anzi si sia adoperata per nascondere le tracce dell’avvenuto parto, liberandosi dei vestiti intrisi di sangue e della placenta, gettata sopra il tetto di un immobile attiguo all’abitazione». E, ancora, non avrebbe mostrato pentimento per ciò che aveva fatto quando sua madre, durante la notte, le aveva chiesto se sentisse dei vagiti, «domanda alla quale lei aveva risposto negativamente, fino a quando non si era arresa all’evidenza, senza tuttavia adottare alcuna desistenza e anzi mantenendo un atteggiamento di distacco rispetto a quanto accadeva, negando anche di aver partorito».
Il movente di tutto ciò è stata la stessa donna a fornirlo: il neonato «era frutto di un rapporto occasionale intrapreso con un uomo sposato, motivo per il quale aveva nascosto la gravidanza». Al momento il piccolo, che la mamma non ha mai riconosciuto, sarebbe stato affidato a una struttura protetta. Il Riesame ha però ritenuto insussistente il “pericolo di recidiva” e ha quindi rigettato la richiesta di custodia in carcere, così come avevano chiesto fin dall’inizio gli avvocati Elisa Caggiari e Pietro Fresu che tutelano la donna. Anche perché a un certo punto lei «ha mutato atteggiamento ammettendo le sue responsabilità agli inquirenti» e anche per via della sua «incensuratezza».