Fabrizio e la Tourette: «La mia vita dentro un corpo che non riesco a controllare»
Il pizzaiolo di Sassari, 51 anni, racconta la sua sindrome: «Gli scatti, l’iperattività, la capacità di parlare per ore»
Sassari Il figlio lo chiama “Capitan Tourette”, perché per lui la “sindrome dei mille tic” è un superpotere. «Ed effettivamente ho passato la mia vita a fare in modo che lo sembrasse, costruendo intorno ai miei scatti, la mia iperattività, la mia capacità di parlare per ore, un personaggio. In parte, soprattutto da ragazzo, ci sono riuscito. Ma quanta fatica e quante lacrime mi è costato».
Il racconto
Lui è Fabrizio, classe 1973, pizzaiolo dalle mani d’oro. E racconta la sua vita in «un corpo che non posso controllare». Lo ha fatto alle Iene, intervistato nei giorni scorsi insieme a Lara, che ha la sua stessa sindrome, e il suo compagno Davide, diventati delle star con il loro account Instagram da 100mila follower.
La sindrome
Fabrizio ha la Tourette, una sindrome neuroatipica che porta con sé movimenti incontrollati accompagnati da suoni e vocalizzi involontari. Una patologia nota sin dall’antichità, ma che ha ricevuto una descrizione clinica solo nella Parigi di fine ‘800 dal neurologo francese Jean-Martin Charcot e il suo allievo Gilles De la Tourette da cui la sindrome prende il nome. La sintomatologia si manifesta generalmente verso i 5-7 anni e può amplificarsi o ridursi negli anni. «Per me la prima diagnosi è arrivata intorno ai 5 anni. Mia madre si era preoccupata perché, dopo che avevo visto un cartone animato, avevo iniziato a ripetere in maniera ossessiva il suo nome. “Inch, inch, inch”. Ma quella diagnosi un po’ confusa non è servita a molto. E io ho continuato a tenermi tutto dentro di me. Di certo io mi sono sempre sentito strano, come una pentola a pressione che ogni tanto doveva sfiatare per non esplodere. Soprattutto durante la notte. E questo mi faceva vergognare, rifiutare gli inviti a dormire insieme da ragazzo. Come passavo le notti era un mio segreto, e il mio più grande inferno».
Il segreto
Su questo segreto, unito al rifiuto di prendere farmaci che non fossero semplici goccette per cercare di dormire un po’ meglio nelle infinite ore passate a contorcersi nel letto, Fabrizio costruisce la sua infanzia e la sua adolescenza. E i suoi scatti improvvisi, la sua energia incredibile unita a un’agilità fuori dal comune, la sua iperattività e le inevitabili carenze attentive, a cui si somma però una facilità disarmante nell’imparare, ricordarsi e rielaborare ogni informazione, diventano appunto i suoi superpoteri. «A scuola sono sempre riuscito a cavarmela – racconta – nonostante la mia energia esplosiva fosse difficile da tenere a bada. E anche con gli amici, e le ragazze. Magari saltavo in piedi sulla sella di una moto posteggiata mentre parlavo, o facevo i tuffi con la capriola dalla piattaforma di dieci metri della piscina. Trasformavo le voci che saltavano fuori mentre parlavo in imitazioni di personaggi, mettevo mille maschere. Evitavo, ed evito, di bere e di prendere qualsiasi sostanza, il mio obiettivo è cercare di tenere il controllo, non di perderlo».
Il personaggio
Fabrizio diventa un “personaggio” insomma, conosciuto un po’ da tutti a Sassari come uno esuberante, stravagante, un po’ matto. «La mia energia impediva che venissi bullizzato, ma non che venissi etichettato, “questo è schizzato, questo si fa”. E il mio pensiero era di cercare di non stancare le persone, di non farle fuggire. Anche se molte finivano, e finiscono, per farlo».
Coming out
La Tourette resta però un leone da tenere in gabbia. E finisce per presentare il conto quando nella vita familiare e professionale la “stravaganza” da ragazzo non è più gestibile. E con i “nuovi” problemi arriva anche la voglia di iniziare a raccontarsi. Un coming out vero e proprio, iniziato con l’avvento dei social nei primi anni 2000. «Che hanno reso più semplice parlare di me, protetto da uno schermo». Il racconto diventa via via impegno. Affiancato da una vita piena di alti e bassi, con incredibili esplosioni di energia e talento, alternate a altrettanto clamorosi crolli. Il filo rosso però rimane la voglia di “svelarsi”, l’impegno via via sempre più costante con l’Aist, l’associazione italiana sindrome di Tourette, che delle persone con “il cervello sbraitante” è punto di riferimento. «La Tourette – spiega Fabrizio – può essere anche molto invalidante, anche perché spesso va insieme a disturbi ossessivo-compulsivi di vario tipo e gravità. In questi casi le persone, e le loro famiglie, hanno bisogno di aiuto. Ci sono casi in cui però questo cervello sbraitante si può tenere a bada. E io, con tutti i pasticci che combino, ne sono comunque un esempio». Fabrizio partecipa a webinar, incontri con famiglie e ragazzi. Durante il Covid scrive una canzone “Che rabbia” «Da bambino ero solito darmi dei colpi grossi nella fronte - dice il testo del brano realizzato con alcuni amici musicisti – Poi mi sono accorto chi ero, e ho finito di soffrire».
Le Iene
Quando le Iene cercano un “personaggio” da affiancare alla rodatissima coppia di influencer che della convivenza con la Tourette hanno fatto bandiera, per la sezione sarda dell’Aist fare il suo nome è naturale. «Anche lì dentro – scherza – sono riuscito a diventare un personaggio». L’inviato delle Iene Cizco viene a trovarlo a Sassari, sta con lui 72 ore di fila. Lo riprende di notte, mentre gli scatti non gli lasciano mai tregua, parla con gli amici. Parla dei suoi tic, di quel tirare la testa indietro e aprire la bocca. Della tensione continua che lo trasforma in un fascio di nervi, e di muscoli. Di come guidare lo calmi e di come gli scaffali dei supermercati pieni di cose lo agitino da impazzire. Fa ascoltare la sua canzone, che forse ora sarà prodotta a Milano.
Superpoteri
«La mia vita non è certo facile – spiega -, ma confrontarmi con persone che hanno i miei stessi “superpoteri”, mi ha aiutato. Lara e Davide ad esempio sono dei portenti, hanno decine di migliaia di follower e li seguono da tutta l'Italia, e loro mandano dei messaggi inclusivi pazzeschi. Ecco, io voglio fare lo stesso, nel mio piccolo, nella mia Sassari. Raccontare che si può vivere, e soprattutto che bisogna vivere liberandosi dal segreto, dalla vergogna. Che bisogna chiedere aiuto, e se si può bisogna darlo».