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«Rabbia e grinta, il Banco deve ripartire da qui»

di Andrea Sini
«Rabbia e grinta, il Banco deve ripartire da qui»

Il play croato racconta la sua esperienza a Sassari tra passato e futuro «Il clima ultimamente è cambiato, da Trento portiamo via tante cose positive»

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SASSARI. Un calciatore del Real Madrid come amico d’infanzia, uno della Juventus come ispirazione per le simpatie pallonare; per il resto basket, esclusivamente basket, fortissimamente basket. Quattro lingue parlate perfettamente per farsi capire fuori dal campo; grinta, coraggio e stoffa da leader per farsi seguire sul parquet. Tra tutti i giocatori stranieri arrivati quest’anno a Sassari, Rok Stipcevic è l’unico che incarna pienamente lo “spirito-Dinamo”.

La storia. Madre e natali sloveni, cuore e cittadinanza croati, il play classe 1986 è stato catapultato in Sardegna la scorsa estate dopo un decennio trascorso in alcune delle grandi piazze della pallacanestro europea: dalla sua amata Zara, che ricorre spessissimo nei suoi discorsi, a Roma, passando per Zagabria, Varese, Milano, Pesaro e la turca Bursa. Con la maglia della nazionale croata cucita addosso. «Io sono nato a Maribor, in Slovenia, ma ho sempre vissuto a Zara. Ho scelto il basket quando avevo 6 anni, la mia è una città a forma di palla a spicchi. Giocavamo anche a calcio, certo. Uno dei miei migliori amici era un ragazzo che era durante la guerra era scappato con la sua famiglia e si era stabilito vicino a casa mia». Il ragazzo è Luka Modric, stella del Real Madrid e della nazionale croata. «Però simpatizzo anche per la Juventus – sottolinea il numero 24 della Dinamo – perché ci gioca Mandzukic».

La vita a Sassari. «Qua sto benissimo, mi piace la gente e mi piace il fatto che in città si respira basket». Ora va anche meglio, perché da qualche giorno ha potuto raggiungerlo anche sua moglie Patricija con la figlioletta, nata meno di tre mesi fa. «Sì, avere anche loro vicino mi fa stare meglio». E così è facile trovare la famiglia Stipcevic che passeggia con il passeggino in piazza d’Italia e chiacchiera con qualche tifoso». In italiano, ovviamente, perché Rok parla perfettamente quattro lingue, compreso croato, sloveno, inglese. «E un po’ di turco – dice – ma poco...».

Orgoglio biancoblù. «Tutti noi dobbiamo tenere bene a mente il fatto che indossiamo una maglia che ha cucito sopra lo scudetto e che rappresentiamo una società che l’anno scorso in Italia ha vinto tutto. Siamo ben consapevoli del fatto che tutto questo vada difeso, non possiamo fare figuracce, ma forse a volte è capitato di dimenticarcene. L’impostazione che ho visto ultimamente secondo me è quella giusta, credo che nessuno avrà vita facile con noi. Ma questo dobbiamo dimostrarlo in campo e non certo a parole nelle conferenze stampa».

Cinque finali. «Ci aspettano cinque gare molto difficili, nessuna delle nostre prossime avversarie regalerà nulla, hanno tutte qualche obiettivo da inseguire. I risultati dell’ultima giornata dimostrano che non c’è niente di scontato. Ma noi dobbiamo solo restare concentrati su noi stessi. Queste saranno cinque piccole finali e come tali dobbiamo affrontarle: una per volta, senza fare troppi calcoli, con il massimo impegno e la massima concentrazione».

La reazione. «Il clima è cambiato ma non solo dagli ultimissimi giorni. A Trento abbiamo giocato con energia. Loro venivano da due grandi vittorie contro Milano e hanno giocato una grande partita. Ma noi non ci siamo disuniti neppure quando siamo andati sotto di 12 punti, abbiamo stretto i denti, disputando un grande terzo e ultimo quarto. Io devo dire che quest’anno una reazione simile a livello di gruppo l’avevo vista raramente».

La rabbia. A Trento si sono certamente visti segnali positivi, in continuità con l’ottimo secondo tempo della partita precedente contro Capo d’Orlando. Resta però il fatto che la Dinamo non ha raccolto nulla e ha finito per perdere nella “solita” maniera. Cosa ha portato a casa la Dinamo? Più scoramento o rabbia? «Ora c’è solo rabbia ed è quella che abbiamo portato in campo alla ripresa degli allenamenti. Giocare con impegno e perdere è frustrante, non c’è dubbio, ma a quel punto hai due strade: o tornare a casa e rimuginare sulla sconfitta, oppure fare un’analisi in cui le cose buone vengono separate dalle cose meno buone. E quindi la cosa migliore che possiamo fare è essere positivi e guardare avanti. Sono convinto che la prossima volta che capiterà un finale punto a punto vinceremo noi».

La leadership. In un gruppo che dopo quasi otto mesi di lavoro non è stato ancora in grado di esprimere un vero leader, Stipcevic in molte circostanze appare come l’unico giocatore che in campo riesca a trascinare i compagni con il carattere, la grinta e – cosa non secondaria – anche con il linguaggio del corpo. Il play croato scuote la testa. «Non è giusto che sia io a dirlo. Sto cercando di giocare al meglio, ma per ottenere i risultati servono tutti i singoli e serve il gruppo».

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