Giuseppe Silvetti, il calciatore "mascherinato" che marca stretto il Covid
Il difensore sassarese del Li Punti è guarito dopo 38 giorni. «Potrebbe colpirmi di nuovo, così mi proteggo sempre»
SASSARI. Lui il Covid lo ha vissuto davvero in prima persona, anzi è stato il primo calciatore e sportivo sardo, ma forse di più, ad affrontare questo rivale temibile e scorretto. E così Giuseppe Silvetti, 35enne difensore centrale del Li Punti (Eccellenza), dopo l’esperienza da choc che ha affondato i suoi “tacchetti” nell’anima più che nel fisico ha preso una decisione singolare: in campo indossa una mascherina.
«Non per tutta la partita, sarebbe impensabile – spiega il 35enne sassarese, trascorsi anche in C1 con la Torres – oltre che negli spogliatoi come da regolamento, ho deciso di tenerla sotto il mento e alzarla quando si prevede un contatto ravvicinato con un altro giocatore, quando la palla arriva in area oppure quando sono io a spingermi in attacco. Io dico: se nella vita reale per avvicinarsi a qualcuno a mezzo metro usi la protezione, cosa cambia in un campo di calcio?». Quella che indossa è una semplice mascherina di stoffa: «In allenamento ho provato la Ffp2 (quella che protegge sia chi la indossa sia gli altri, ndc) ma non lascia respirare. Se l’uso di quella di cotone fosse la norma, tutti sarebbero protetti e giocare a calcio sarebbe sicuro».
Le reazioni non sono state quelle attese: «Da “pagliaccio”, a “ti vuoi mettere in mostra”, queste le frasi più carine che mi riservano gli avversari – dice Silvetti – mentre i miei compagni rispettano la scelta. C’è da dire che c’è un po’ di prevenzione nei miei confronti per il mio carattere un po’ duro, ma sono sicuro di fare la cosa giusta. So cosa significa il contagio da Covid e che non è certo che la carica antivirale duri nel tempo».
Ecco l’inizio dell’incubo: «Ho fatto una vacanza in Costa Smeralda con la mia ragazza e la famiglia _ racconta _ una zona che amo, seguendo tutte le precauzioni. Ma dagli inizi di agosto ho cominciato a notare un afflusso di turisti, in particolare lombardi, che non facevano lo stesso. Così magari te li trovavi a pochi centimetri senza mascherina, al bancone del bar all’aperto, o in bagno. Ma il contagio potrebbe essere avvenuto quando sono tornato a Sassari: in banca ho avvicinato un impiegato che pochi giorni dopo ha accusato i sintomi. Difficile dirlo».
Quindi l’avvio della preparazione con il Li Punti: «Dopo 3 giorni di allenamenti ho avvertito i segni del Covid: il tampone era positivo. Sono stato molto male nei primi 15 giorni dei 38 giorni di clausura e ho avuto paura che peggiorasse, ma non accadeva e mi sono tranquillizzato. Ho cercato di tenermi in forma per poter affrettare il rientro, anche se la mattina dopo ero uno straccio. Per fortuna l’apparato respiratorio non è stato intaccato. E non ho contagiato nessuno, né compagni né la mia ragazza». Una vicenda che lo ha cambiato tantissimo: «Ora sto attento a tutto ciò che faccio, per dire: se tocco una maniglia uso il gel. E la mascherina è... di rigore: «Non costa nulla, alla fine è un gesto automatico. Se non capiamo i rischi, allora dico che lo stop ai campionati dilettanti è giustissimo. Sto vedendo cose preoccupanti negli spogliatoi delle altre squadre, gente ammassata che poi esce con la protezione, ma è una finta, è ridicolo. Perché poi accade che un compagno un avversario ti contagia». E invece del risultato porti a casa l’inizio di un dramma.
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