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La storia di Davide Ruiu: dalle Olimpiadi di Tokyo al ritiro a soli 22 anni

di Massimo Sechi

	<strong>Davide Ruiu</strong> durante la sua gara alle Olimpiadi di Tokio
Davide Ruiu durante la sua gara alle Olimpiadi di Tokio

Il giovane pesista sassarese racconta la sua carriera, interrotta a causa di un problema congenito al ginocchio mentre iniziava a preparare i Giochi di Parigi, e il suo presente

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Sassari La storia di Davide Ruiu è quella di un ragazzo con un grande talento ma soprattutto con una incredibile determinazione che lo ha portato a disputare, a soli 20 anni, le Olimpiadi di Tokyo nel sollevamento pesi e nella categoria dei 61 kg. Dopo quella bellissima esperienza, chiusa con un ottimo sesto posto, un problema congenito al ginocchio ha purtroppo chiuso la sua carriera a soli 22 anni.

Sono passati due anni da quando è arrivato lo stop definitivo dei medici, la sua vita è cambiata ma la sua passione per lo sport, anzi, per quella specifica disciplina sportiva, non è diminuita di una virgola. «Partecipare alle Olimpiadi – ci dice – è il sogno di qualsiasi atleta. Arrivare su quella pedana è stato meraviglioso, anche perché la qualificazione era molto complicata. Per me quell’esperienza doveva essere un primo contatto con una competizione così importante e poi per sognare qualcosa di più l’obiettivo doveva essere Parigi».

Ma si è messo di mezzo un problema congenito al ginocchio

«Sì, avevo già deciso di salire di due categorie e la preparazione stava andando alla grande. Avevo già fatto i 135 kg di strappo e i 170 di slancio. Poi il problema al tendine quadricipitale rotuleo si è ripresentato. Abbiamo sentito diversi pareri medici e alla fine ho dovuto abbandonare».

Ha mai pensato a dove sarebbe potuto arrivare?

«Il mio allenatore , Sebastiano Corbu, mi ha insegnato che si parla solo con i fatti. Sono sicuro che lui avrebbe potuto aiutarmi a raggiungere qualsiasi risultato ma senza proclami, facendo il nostro. E infatti non ho rimpianti per la mia carriera. Io so di aver fatto sempre tutto come si deve, seguendo alla lettera ciò che mi veniva detto. Poi nello sport bisogna accettare anche le batoste ».

Con Crobu il rapporto è stato di grande fiducia da subito

«Assolutamente sì, lui da direttore tecnico della Sardegna mi ha preso in considerazione sin da quando ero piccolo perché vedeva che facevo risultati e che mi impegnavo molto. Poi mi ha fatto convocare in nazionale e a 15 anni sono dovuto andare via di casa e per me è stato davvero come un padre. Lui ha fatto di tutto per cercare una soluzione che mi permettesse di continuare. Con lui ci sentiamo ancora e forse il nostro rapporto è anche migliorato. Insieme alla mia famiglia, alla mia ex ragazza e al mio compagno di squadra Sergio Massidda, mi è stato di grandissimo aiuto quando ho dovuto smettere».

Molti pensano che il sollevamento pesi sia soprattutto un fatto di potenza muscolare

«È una cosa che mi infastidisce molto. In tanti sono convinti che per sollevare centinaia di chili serva solo la forza e invece il gesto tecnico vale almeno per l’80%. Io dico che quel che serve è intelligenza motoria che deve essere gestita al meglio». Lei fa parte dell’esercito, quanto le è stato utile nel gestire l’addio all’attività agonistica?

«Tantissimo, senza l’esercito non sarei mai riuscito ad affrontare tutte le difficoltà che mi si sono presentate davanti. Mi ha dato la certezza di uno stipendio ma mi hanno anche aiutato in tutta la fase dell’infortunio. Per me è un’altra famiglia. Per un primo periodo ho lavorato come allenatore nelle nazionali, ora aspetto che arrivi il trasferimento a Sassari».

Quello che colpisce parlando con lei è che si percepisce ancora , tre anni dopo il ritiro, l’importanza dell’impegno e del sacrificio nello sport

« Per me lo sport è una lezione di vita perché racchiude tutto: la disciplina, la maturità, la determinazione, il senso di squadra. Era la mia vita, mi ha aiutato a crescere più in fretta e ovviamente mi manca ma mi ha insegnato anche che bisogna sempre guardare avanti ed è quello che faccio».

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