Sicuri e liberi Una sfida per la sinistra
di MARCO MINNITI
In libreria il nuovo saggio di Marco Minniti Come rispondere a chi semina odio e paura
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Pubblichiamo un estratto dal primo capitolo del libro di Marco Minniti “Sicurezza è libertà” (Rizzoli, 224 pagine, 19 euro).
* * *di MARCO MINNITI
La paura è una pulsione fondamentale dell’essere umano che spinge a difendere la propria identità, il proprio equilibrio interno e i propri confini. E’ qualcosa che mette in discussione principi e orientamenti forti, e che produce comportamenti irrazionali. La sinistra, di fronte alla paura di una persona, non può negare le ragioni che l’hanno generata, trattando la questione con supponenza. Così facendo lascia il campo libero agli speculatori della paura, a chi costruisce la propria fortuna politica sfruttando l’angoscia dell’impoverimento e della perdita dei propri diritti suscitata da un fantomatico nemico esterno, l’immigrato.
SPINTE IRRAZIONALI. Sono convinto che una formazione riformista abbia il compito di stare accanto alle persone, di ascoltarle per liberarle dai loro timori. Perché una spinta irrazionale conduce solo a provvedimenti schiacciati sul presente e impedisce la visione di un futuro fondato su riforme ad ampio respiro. Un vero progetto nasce solo da una visione a lungo termine. La differenza tra la sinistra e il populismo consiste proprio in questo: la sinistra ascolta, mentre i populisti fanno finta di ascoltare, quando invece il loro unico obiettivo è di tenere incatenata la gente alle proprie paure.
ROTTURA SENTIMENTALE. I più vulnerabili sono i ceti più fragili, che la sinistra storicamente ha sempre rappresentato, e con i quali, tuttavia, nel corso degli anni si e creata una vera e propria rottura sentimentale. Si è rotto qualcosa di molto profondo e la sensazione è che ciò sia avvenuto perché pezzi della società non si sono più sentiti ascoltati. Anzi, hanno avvertito separazione e biasimo – una variante della superiorità morale – e un atteggiamento di aristocratico distacco. Questa rottura sentimentale pone un problema di rappresentanza e di identità in ampi settori della società italiana, mette in discussione principi democratici che vanno anche oltre i confini del nostro Paese. E’ una questione con la quale si stanno misurando tutte le forze progressiste europee.
PARTITA DECISIVA. Nella situazione in cui ci troviamo non basta dare la colpa a chi ora grida di più. La sinistra riformista italiana e quella europea hanno capito troppo tardi che su questo si giocava una scommessa cruciale. Per non tradire il proprio elettorato dovevano parlare un linguaggio di verità e capire che a chi prova paura e rabbia per la sua situazione economica e sociale non si può rispondere con la freddezza delle cifre e delle statistiche. Di fronte alla condizione individuale di chi ha perso il lavoro o si sente insicuro non basta rispondere sottolineando i segni meno che sono diventati segni più. D’accordo, il Pil è importante, anzi, fondamentale; ma è una drammatica illusione pensare che quel passaggio di segno da meno a più sia sufficiente a rassicurare la parte più esposta dei cittadini.
UN BENE COMUNE. C’e poi un’altra parola chiave del nostro tempo, “sicurezza”, un termine che deve essere centrale nel vocabolario della sinistra italiana ed europea. Non è infatti possibile pensare a una forza riformista di affermazione dell’individuo e della sua liberazione se non si mette al centro di questo processo il tema della sicurezza. La sicurezza è un bene comune. Innanzitutto è un bene. Qualcosa di molto importante nella vita di ciascun individuo. Strettamente connesso alla possibilità di “vivere la vita”. Ma questo “bene” per sua stessa natura non può che essere comune. Esiste, si concretizza solo nel rapporto dell’individuo con l’altro. Nel reciproco riconoscimento. La sicurezza, dunque, è uno dei punti di incontro tra l’individuo e la comunità. La garanzia della socialità.
SOCIETÀ APERTA. Sentirsi sicuri significa “sentirsi reciprocamente”: questo è un punto fondamentale che rende sempre più evidente il confine tra una società aperta e una società chiusa. Una società chiusa nella dimensione virtuale del sacro blog e nella dimensione fisica che traccia un confine di separazione dagli altri, anche a livello internazionale. Non sfugge a nessuno che dietro l’offensiva dei nuovi populismi, sia quelli europei sia quello italiano, ci sia l’idea che non è possibile tenere insieme il principio di sicurezza e quello di libertà, due principi fondativi della democrazia. Li si considera come una “coppia opposizionale”. Così come tante altre: o si sceglie la sicurezza, o si sceglie la libertà; o si sceglie la crescita economica, o si sceglie la questione sociale. O si sceglie l’Europa, o si sceglie l’interesse nazionale. Il populismo in questi anni ha indotto gran parte dell’opinione pubblica italiana ed europea a coltivare la convinzione di doversi schierare a favore dell’uno o dell’altro principio. La questione è invece che non siamo assolutamente di fronte a delle “coppie opposizionali”. Il futuro delle democrazie sta proprio nella capacità di conciliare i poli di quella che vogliono indurci a credere sia un’alternativa.
OPPOSTI APPARENTI. Se questo è il futuro, non spetta dunque alla sinistra, a una forza riformista, il compito di conciliare quelli che appaiono opposti ma opposti non sono? Una democrazia, seppur sfidata sui fondamenti della propria sicurezza – così come è sfidata in questo momento dalla minaccia del terrorismo di matrice religiosa, tanto radicale e potente – se dovesse concepire un possibile scambio tra sicurezza e libertà, di fatto si incamminerebbe su una strada dove il rischio è di perdere se stessa. Uno scambio tra sicurezza e libertà non è possibile! Non è possibile contrapporre i due termini! Dobbiamo respingere il principio che favorisce questa forma di baratto: io ti do più sicurezza e tu rinunci a un pezzo delle tue libertà.
LA LEZIONE DI PERTINI. Se ci pensiamo bene, questa è la sfida di fondo che in qualche modo viene posta anche dai terroristi. L’Italia l’ha affrontata senza mettere in discussione nemmeno per un attimo la possibilità di rispondere alla minaccia con uno stato di eccezione democratica.
Su questo è stato straordinariamente potente l’insegnamento di un grande presidente della Repubblica, Sandro Pertini: una democrazia deve rispondere al terrorismo con le armi della democrazia. Questa è una guida assoluta che non ammette deroghe. Ma c’è un punto a mio avviso ancora più rilevante. Non solo non è ammissibile uno scambio tra sicurezza e libertà, ma la loro connessione deve essere intesa in modo ancora più stringente di quanto si possa esprimere con la congiunzione “e”. Per rendere la forza del legame, la congiunzione deve essere sostituita dalla terza persona del verbo essere: sicurezza è libertà. Tra questi due aspetti fondativi della democrazia c’è un rapporto di interconnessione, evidente anche nella vita di ogni giorno. Non c’è autentica sicurezza se è limitata ad alcuni ambiti dell’esistenza, cioè se per garantire la propria sicurezza si è obbligati a rinunciare ad alcune libertà. Accettare questo compromesso significa vivere una vita in miniatura, condizionata da qualcosa di estraneo a noi stessi.
PRINCIPIO UNIVERSALE. Il nesso tra libertà e sicurezza e altrettanto evidente e intuitivo se rovesciato. A che mi serve la mia libertà se è sganciata da un principio di garanzia del rispetto delle mie azioni? Per dirla in modo più semplice: a che mi serve la mia libertà se nel momento in cui io esco di casa sono sottoposto a una minaccia? A che mi serve la mia libertà se non mi è garantita la facoltà di andare dove voglio?
“Sicurezza è liberta” è un principio universale, che vale per tutti. Seppure per i ricchi l’impatto, pur essendo in linea di principio molto forte, è meno cogente. Una persona abbiente ha infatti la possibilità di costruirsi un percorso di sicurezza privata, che le garantisca un canale di libertà che deriva dalla forza della sua capacità economica. Se una persona è molto ricca e non ritiene che ci sia sicurezza nel proprio quartiere, può cambiare quartiere, città, Paese. Il problema riguarda chi non può cambiare quartiere, città, Paese. Noi dobbiamo stare vicini a chi ha comprato una casa con i sacrifici di una vita o non può permettersi di pagare un affitto più alto in un quartiere più sicuro. Dobbiamo stare vicini a chi è più esposto socialmente. Questo è il cuore della dimensione sociale della parola “sicurezza”. Se tutto questo non lo fa la sinistra, chi lo fa? E se la sinistra abdica a questo suo compito non viene forse meno a una delle sue ragioni di fondo?
© 2018 Mondadori Libri
S.P.A., Milano
* * *di MARCO MINNITI
La paura è una pulsione fondamentale dell’essere umano che spinge a difendere la propria identità, il proprio equilibrio interno e i propri confini. E’ qualcosa che mette in discussione principi e orientamenti forti, e che produce comportamenti irrazionali. La sinistra, di fronte alla paura di una persona, non può negare le ragioni che l’hanno generata, trattando la questione con supponenza. Così facendo lascia il campo libero agli speculatori della paura, a chi costruisce la propria fortuna politica sfruttando l’angoscia dell’impoverimento e della perdita dei propri diritti suscitata da un fantomatico nemico esterno, l’immigrato.
SPINTE IRRAZIONALI. Sono convinto che una formazione riformista abbia il compito di stare accanto alle persone, di ascoltarle per liberarle dai loro timori. Perché una spinta irrazionale conduce solo a provvedimenti schiacciati sul presente e impedisce la visione di un futuro fondato su riforme ad ampio respiro. Un vero progetto nasce solo da una visione a lungo termine. La differenza tra la sinistra e il populismo consiste proprio in questo: la sinistra ascolta, mentre i populisti fanno finta di ascoltare, quando invece il loro unico obiettivo è di tenere incatenata la gente alle proprie paure.
ROTTURA SENTIMENTALE. I più vulnerabili sono i ceti più fragili, che la sinistra storicamente ha sempre rappresentato, e con i quali, tuttavia, nel corso degli anni si e creata una vera e propria rottura sentimentale. Si è rotto qualcosa di molto profondo e la sensazione è che ciò sia avvenuto perché pezzi della società non si sono più sentiti ascoltati. Anzi, hanno avvertito separazione e biasimo – una variante della superiorità morale – e un atteggiamento di aristocratico distacco. Questa rottura sentimentale pone un problema di rappresentanza e di identità in ampi settori della società italiana, mette in discussione principi democratici che vanno anche oltre i confini del nostro Paese. E’ una questione con la quale si stanno misurando tutte le forze progressiste europee.
PARTITA DECISIVA. Nella situazione in cui ci troviamo non basta dare la colpa a chi ora grida di più. La sinistra riformista italiana e quella europea hanno capito troppo tardi che su questo si giocava una scommessa cruciale. Per non tradire il proprio elettorato dovevano parlare un linguaggio di verità e capire che a chi prova paura e rabbia per la sua situazione economica e sociale non si può rispondere con la freddezza delle cifre e delle statistiche. Di fronte alla condizione individuale di chi ha perso il lavoro o si sente insicuro non basta rispondere sottolineando i segni meno che sono diventati segni più. D’accordo, il Pil è importante, anzi, fondamentale; ma è una drammatica illusione pensare che quel passaggio di segno da meno a più sia sufficiente a rassicurare la parte più esposta dei cittadini.
UN BENE COMUNE. C’e poi un’altra parola chiave del nostro tempo, “sicurezza”, un termine che deve essere centrale nel vocabolario della sinistra italiana ed europea. Non è infatti possibile pensare a una forza riformista di affermazione dell’individuo e della sua liberazione se non si mette al centro di questo processo il tema della sicurezza. La sicurezza è un bene comune. Innanzitutto è un bene. Qualcosa di molto importante nella vita di ciascun individuo. Strettamente connesso alla possibilità di “vivere la vita”. Ma questo “bene” per sua stessa natura non può che essere comune. Esiste, si concretizza solo nel rapporto dell’individuo con l’altro. Nel reciproco riconoscimento. La sicurezza, dunque, è uno dei punti di incontro tra l’individuo e la comunità. La garanzia della socialità.
SOCIETÀ APERTA. Sentirsi sicuri significa “sentirsi reciprocamente”: questo è un punto fondamentale che rende sempre più evidente il confine tra una società aperta e una società chiusa. Una società chiusa nella dimensione virtuale del sacro blog e nella dimensione fisica che traccia un confine di separazione dagli altri, anche a livello internazionale. Non sfugge a nessuno che dietro l’offensiva dei nuovi populismi, sia quelli europei sia quello italiano, ci sia l’idea che non è possibile tenere insieme il principio di sicurezza e quello di libertà, due principi fondativi della democrazia. Li si considera come una “coppia opposizionale”. Così come tante altre: o si sceglie la sicurezza, o si sceglie la libertà; o si sceglie la crescita economica, o si sceglie la questione sociale. O si sceglie l’Europa, o si sceglie l’interesse nazionale. Il populismo in questi anni ha indotto gran parte dell’opinione pubblica italiana ed europea a coltivare la convinzione di doversi schierare a favore dell’uno o dell’altro principio. La questione è invece che non siamo assolutamente di fronte a delle “coppie opposizionali”. Il futuro delle democrazie sta proprio nella capacità di conciliare i poli di quella che vogliono indurci a credere sia un’alternativa.
OPPOSTI APPARENTI. Se questo è il futuro, non spetta dunque alla sinistra, a una forza riformista, il compito di conciliare quelli che appaiono opposti ma opposti non sono? Una democrazia, seppur sfidata sui fondamenti della propria sicurezza – così come è sfidata in questo momento dalla minaccia del terrorismo di matrice religiosa, tanto radicale e potente – se dovesse concepire un possibile scambio tra sicurezza e libertà, di fatto si incamminerebbe su una strada dove il rischio è di perdere se stessa. Uno scambio tra sicurezza e libertà non è possibile! Non è possibile contrapporre i due termini! Dobbiamo respingere il principio che favorisce questa forma di baratto: io ti do più sicurezza e tu rinunci a un pezzo delle tue libertà.
LA LEZIONE DI PERTINI. Se ci pensiamo bene, questa è la sfida di fondo che in qualche modo viene posta anche dai terroristi. L’Italia l’ha affrontata senza mettere in discussione nemmeno per un attimo la possibilità di rispondere alla minaccia con uno stato di eccezione democratica.
Su questo è stato straordinariamente potente l’insegnamento di un grande presidente della Repubblica, Sandro Pertini: una democrazia deve rispondere al terrorismo con le armi della democrazia. Questa è una guida assoluta che non ammette deroghe. Ma c’è un punto a mio avviso ancora più rilevante. Non solo non è ammissibile uno scambio tra sicurezza e libertà, ma la loro connessione deve essere intesa in modo ancora più stringente di quanto si possa esprimere con la congiunzione “e”. Per rendere la forza del legame, la congiunzione deve essere sostituita dalla terza persona del verbo essere: sicurezza è libertà. Tra questi due aspetti fondativi della democrazia c’è un rapporto di interconnessione, evidente anche nella vita di ogni giorno. Non c’è autentica sicurezza se è limitata ad alcuni ambiti dell’esistenza, cioè se per garantire la propria sicurezza si è obbligati a rinunciare ad alcune libertà. Accettare questo compromesso significa vivere una vita in miniatura, condizionata da qualcosa di estraneo a noi stessi.
PRINCIPIO UNIVERSALE. Il nesso tra libertà e sicurezza e altrettanto evidente e intuitivo se rovesciato. A che mi serve la mia libertà se è sganciata da un principio di garanzia del rispetto delle mie azioni? Per dirla in modo più semplice: a che mi serve la mia libertà se nel momento in cui io esco di casa sono sottoposto a una minaccia? A che mi serve la mia libertà se non mi è garantita la facoltà di andare dove voglio?
“Sicurezza è liberta” è un principio universale, che vale per tutti. Seppure per i ricchi l’impatto, pur essendo in linea di principio molto forte, è meno cogente. Una persona abbiente ha infatti la possibilità di costruirsi un percorso di sicurezza privata, che le garantisca un canale di libertà che deriva dalla forza della sua capacità economica. Se una persona è molto ricca e non ritiene che ci sia sicurezza nel proprio quartiere, può cambiare quartiere, città, Paese. Il problema riguarda chi non può cambiare quartiere, città, Paese. Noi dobbiamo stare vicini a chi ha comprato una casa con i sacrifici di una vita o non può permettersi di pagare un affitto più alto in un quartiere più sicuro. Dobbiamo stare vicini a chi è più esposto socialmente. Questo è il cuore della dimensione sociale della parola “sicurezza”. Se tutto questo non lo fa la sinistra, chi lo fa? E se la sinistra abdica a questo suo compito non viene forse meno a una delle sue ragioni di fondo?
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S.P.A., Milano