La Nuova Sardegna

La visione intima della Sardegna di Carmelo Floris

di MARZIA MARINO
La visione intima della Sardegna di Carmelo Floris

Nel terzo volume in edicola venerdì 14 un pittore di potente espressività arcaica

12 febbraio 2020
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Nel panorama dell’arte sarda del Novecento, Carmelo Floris ricopre un ruolo per certi versi scomodo e spesso frainteso, per cui, inevitabilmente la sua pittura è stata per anni schedata in termini del tutto impropri. Inserito in quella corrente che ebbe in Giuseppe Biasi l’uomo di punta se non il capofila indiscusso, la semplicità di linguaggio e la spontaneità dei soggetti di Floris ne fissano una variabile più ingenua e paesana, meno intellettualistica ma realistica, caratterizzata da una potente espressività arcaica. Aggiornato sugli sviluppi della cultura artistica occidentale, Floris si dimostra un grande maestro, carico di suggestioni che hanno generato un particolare registro stilistico. Base fondata su un vigile ed intenso rapporto con quanto in Sardegna andava costituendosi attraverso Antonio Ballero, Felice Melis Marini, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Mario Delitala, Melkiorre Melis, Stanis Dessy, artisti che, con lui, hanno inventato e dato vita alla pittura sarda moderna.

BISOGNO DI CONTEMPLARE. È all’interno del processo di definizione di una cultura personale che bisogna ricercare il contributo originale di Carmelo Floris, artista che ha saputo proporre in termini schiettamente pittorici quei motivi del folklore che altri rievocano senza farli propri, generando una visione intima della Sardegna, l’incarnazione di valori umani meno appariscenti ma diffusi, fedele rappresentazione dell’autenticità di un popolo. Alla radice della sua arte vi è il bisogno di contemplare la natura e le cose, l’amore per i suoi conterranei che traduce in esiti di sommessa poesia.

Con naturale sincerità, Floris trae ispirazione dalla gente comune e da quegli aspetti ricercati nei centri interni dell’Isola, dal microcosmo dove anch’egli ha vissuto la sua vita appartata e solitaria, andando a respirare l’aria della grande città solo per brevi periodi. Una condizione, quella dell’isolano, che non ha costituito un limite ma piuttosto una posizione privilegiata per osservare la Sardegna e restituircela attraverso il linguaggio sublimato dell’arte. Il piccolo triangolo racchiuso tra Olzai, Ollolai e Gavoi, area nella quale usi e tradizioni si conservavano inalterati nonostante l’inesorabile marcia della modernità, hanno costituito per l’artista una continua ed inesauribile fonte di ispirazione, un mondo vergine, un paradiso solitario che non ha avuto bisogno di andare a ricercare altrove, perché è quello in cui ha vissuto sin da ragazzo e per tutta la vita. I fieri pastori, le donne in costume, i venditori ambulanti, le montagne e la vegetazione non sono il frutto di una retorica primitivistica ma il risultato di una diretta osservazione della realtà. L’artista non è però animato dallo spirito dell’etnografo, non è un ricercatore di stranezze né di aspetti primordiali e insoliti. Per Carmelo Floris il folklore è vita vissuta. Con questi uomini, con queste donne parla e si intrattiene ad ogni ora; questi paesi, questi animali, queste montagne sono quelli del quieto scorrere quotidiano, attraverso essi l’artista ci racconta la Sardegna che sente vera, lontana dagli schemi standardizzati, guardata con gli occhi del figlio affettuoso che suggerisce ritmi e cadenze con quel lirico temperamento che gli ha permesso di narrare la favola della sua gente, l’epopea di un mondo al tramonto.

IL MAESTRO BIASI. Egli è moderno, eleggendo il suo studio, luogo remoto in un paese remoto, quale osservatorio di un mondo che per essere “grande” non deve necessariamente trasferirsi nella metropoli. Tra i pittori che operano in Sardegna nella prima metà del secolo, Carmelo Floris è senza dubbio il più vicino a Giuseppe Biasi, di cui non solo con orgoglio si dichiara discepolo ma sembra, a volte, farsi continuatore completandone l’opera e dimostrando, anche più dello stesso maestro, l’attaccamento alle radici della sua gens. Nato a Bono nel 1891, trascorre parte della sua infanzia ad Ollolai, presso la casa dello zio parroco. È proprio qui che il pittore Giuseppe Biasi scopre le sue doti artistiche: «Questo ragazzo è nato pittore» e ancora «Dipingi Carmele’ non fare altro». Da questo momento Biasi diviene un riferimento costante per Carmelo Floris; sotto la sua guida compie i primi passi nel campo dell’arte e, grazie al suo consiglio, nel 1909, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Roma. Il clima artistico della Capitale, a cavallo tra il primo e il secondo decennio del Novecento, è molto frizzante: una città viva che cerca di aggiornarsi sugli orientamenti artistici del resto d’Europa, aperta ai continui apporti dei diversi linguaggi e delle culture straniere. Lo stesso Biasi, in questi anni, moltiplica ripetutamente i suoi soggiorni romani: qui c’è Grazia Deledda, c’è il pittore Camillo Innocenti che, in seguito ad un suo viaggio in Sardegna nel 1908, ha stretto ottimi rapporti con gli artisti isolani.

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