«La mia dolce vita accanto a due grandi musicisti»
L’intervista degli studenti dell’Azuni alla figlia di Arnold Schoenberg e moglie di Luigi Nono
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Prima della chiusura delle scuole per l’emergenza coronavirus, gli studenti della 5ª L del Liceo Musicale Azuni di Sassari e i loro docenti hanno incontrato a Venezia Nuria Schoenberg, figlia del grande compositore viennese Arnold Schoenberg e moglie di un altro celebre compositore, scrittore e politico, Luigi Nono. L’Azuni è uno degli istituti superiori partner del progetto “La Nuova@Scuola” Ecco una parte della intervista realizzata dai ragazzi.
La Musica. E la vita in mezzo. Potrebbe essere la sintesi dell’esistenza della signora che, dolce e cordiale, ci apre la porta e sorridendo ci viene incontro. Siamo a Venezia nella settimana che precede il Carnevale, ma a noi dei festeggiamenti interessa ben poco. Venezia, la città di Vivaldi, Monteverdi, dei Gabrieli. Stiamo per incontrare una donna che è figlia e moglie di due grandi del Novecento musicale: Arnold Schoenberg e Luigi Nono.
Testimone privilegiata della grande storia della musica, ci ha concesso una video intervista e noi, emozionati, non ci siamo lasciati scappare l’occasione.
«Innanzi tutto – premette Nuria Schoenberg Nono – mi fa moltissimo piacere vedervi qui. Io sono innamorata della Sardegna e in particolare della vostra zona, ci veniamo almeno una volta all’anno per tutta l’estate. Io dirò Gigi quando parlo di Nono, perché per me era Gigi, e sarebbe ridicolo se dicessi il “Maestro Nono”. Anche Gigi amava moltissimo la Sardegna. Eravamo molto amici di Claudio Abbado, come forse già sapete, e siamo andati per qualche anno suoi ospiti, poi Gigi ha detto “beh, forse possiamo trovare un posto nostro”, un piccolo posto vicino a Claudio e possiamo stare lì. Per fine estate a casa di Abbado venivano tanti amici, tanti musicisti, direttori d'orchestra, Karlos Kleiber. Mi fa sempre piacere tutto quello che ha a che fare con la Sardegna perché per me è un sogno».
Che rapporto ha lei con la musica e cosa ha imparato da suo padre e da suo marito in termini musicali?
«Mio padre insegnava Armonia all’Università di Los Angeles, ma insegnava anche ai principianti, e ricordo che gli chiesi: “Papà, perché non mi insegni l’Armonia?”. Lui mi dette un libretto di un giovane compositore e mi disse: “Studia prima questo!”, (Nuria ride - ndr), per cui in questo senso non ho imparato da lui. Quando avevo sette-otto anni ho dovuto studiare violino ma ero proprio negata! Non studiavo, ed ero proprio un disastro! C’era una signora che aveva molto timore di mio padre, considerava un grande onore insegnare alla figlia che era negata. Mi incoraggiava dicendo “Oh bene, ripeti ancora una volta”, ma io sbagliavo lo stesso, per cui proprio non era cosa mia. Ecco, questo era il mio primo rapporto con la musica pratica. Invece con la musica da ascoltare… A Los Angeles non c'erano molti concerti, io sono nata nel ’32 e, quando sono diventata abbastanza grande per poter andare, ho assistito a concerti di musica contemporanea, ma non c’era una stagione concertistica regolare. Inoltre, gli altri concerti di musica classica erano, a detta di mio padre, poco interessanti: “Quel direttore è terribile, non andare! Quel musicista è terribile, non andare!”, per cui non ho mai sentito niente. I dischi allora erano molto cari e non ne avevamo tanti, c’era però un programma alla radio, sponsorizzato dalla compagnia del gas, e ogni sera, dalle 8 alle 10, trasmetteva di tutto: due ore di musica jazz senza pubblicità, e spesso ricevevamo il programma mensile, per cui conoscevamo la programmazione in anticipo. Allora, quando c’era qualcosa di interessante che per mio padre valeva la pena di ascoltare – e questo alla radio perché non c'era la tv – lui spesso prendeva la partitura dal suo studio e seguiva da lì. Siccome avevo studiato un po’ di musica, riuscivo anche a seguire, e questa è stata una cosa bellissima per me: stare lì ad ascoltare la musica e seguire sulla partitura. Questo è il mio rapporto con la musica e mio padre.
Lui aveva molta passione per l'insegnamento, gli piaceva ed era un insegnante fantastico. Conosceva ogni persona delle sue classi e cercava, quando dava un compito, di differenziarlo per quello che la persona poteva fare: se una studiava per maestra di asilo, dava esercizi più semplici e, se uno invece voleva diventare compositore, assegnava cose più difficili.
Per fortuna a Vienna, dove c’è il “Centro A. Schoenberg”, che è un enorme museo, sono conservati anche gli esempi musicali che lui faceva su carta, non avendo la lavagna; lui insegnava musica cominciando, mi ricordo, dalla fuga, perché abbiamo le pagine, queste grandissime pagine di carta, che in America chiamano “carta da macellaio”. La mattina, uno dei mie fratelli disegnava il pentagramma con un accessorio che mio padre aveva inventato, proprio fisicamente ideato, una “cosa” con delle matite a cera nere legate. Anche queste sono conservate a Vienna nel “Centro A. Schoenberg”. È molto bello capire e vedere come insegnava: io stavo li dietro, avrò avuto circa otto anni, ed ascoltavo, per cui non è che abbia imparato grandi cose anche perché questi erano studenti già ad alto livello, ma ascoltavo e qualcosa della musica mi è rimasto».
Cosa l’ha colpita di Luigi Nono?
«Beh, questa è una bella storia, sembra inventata. Nel 1954 sono tornata in Europa da Los Angeles. Io sono nata in Spagna, poi sono stata un anno e mezzo in Germania e in seguito siamo emigrati in America. Da allora non c’ero più stata. Dopo la morte di mio padre, nel 1954 siamo andate ad Amburgo (ndr - insieme alla madre) per la prima esecuzione concertante di “Mose e Aronne”. Luigi Nono studiava con H. Scherchen, grande amico di mio padre e che avrebbe voluto dirigere la prima assoluta di questo brano, ma, purtroppo, la “Radio tedesca” scelse un altro direttore.
Gigi aveva aiutato Scherchen per la parte dell’orchestra, per cui conosceva già molto bene quella musica e volle sentirla. Quando siamo arrivati alla prova generale, dissero a mia madre che un compositore italiano voleva conoscere la vedova di Schoenberg, per cui ce lo presentarono. Il concerto era stato un enorme successo e io non avevo mai vissuto una cosa simile: una magnifica esecuzione, il pubblico che applaudiva, così tanto entusiasmo, pieno di persone che avevano conosciuto mio padre quando erano giovani; era una emozione indescrivibile essere lì anche per me, perché in America sono solo Nuria la sorella di Ronnie, quello che ha vinto il torneo di tennis! Anche a mio padre, quando è venuto a guardare mio fratello giocare – era un bambino molto bravo – risposero al suo “Io sono Arnold Schoenberg” con: “Ah, ma lei è il padre di Ronnie!” (n.d.r. ride divertita).
Dopo il concerto c'era una cena cui parteciparono tutti i musicisti della “Radio di Amburgo”, il direttore d’orchestra e altri. Io ero seduta in un tavolo lunghissimo e di fronte, un po’ più in là, c’erano gli altri, e mia madre più distante. Gigi ha iniziato a farmi delle domande sull’America: voleva sapere cosa succedeva a Detroit perché lui, leggendo l'Unità, sapeva molto più di me di cosa succedeva nelle fabbriche di automobili, perché a me non interessava per niente l’argomento! Continuava a domandarmi cose sull’America e parlavamo in tedesco, che non è né la mia né la sua lingua. A un certo punto, non mi veniva in mente la parola “governo” in tedesco, e questo è il punto di tutta questa storia: io ho sentito l’urgenza di rispondere a quella persona, con quegli occhi che aveva che ti guardavano in un certo modo, e allora ho urlato – adesso non divento più rossa, però ancora mi vergogno –: “Mamma, come si dice governo in tedesco?” E lei, tranquilla: “Regierung”. E questo il primo momento del resto della mia vita, credo, perché ho sentito questa “urgenza” di rispondergli, ho sentito questa intensità di lui che voleva sapere tutto».
Quali sono le composizioni di suo marito a cui è legata?
«Beh, potrei dire quella che ha scritto per me, ma non è vero. Ossia, ci sono legata, ma non l’ho quasi mai sentita perché viene eseguita poco ancora adesso. Oltre a quella, anche “Il canto sospeso”, una facile risposta, o il “Quartetto”, quando è suonato bene e c’è l’atmosfera giusta: è una cosa che ti prende! Il “Prometeo” per me, però possono essere anche altre. È come chiedere quali dei tuoi figli ti piaccia di più».
La Musica. E la vita in mezzo. Potrebbe essere la sintesi dell’esistenza della signora che, dolce e cordiale, ci apre la porta e sorridendo ci viene incontro. Siamo a Venezia nella settimana che precede il Carnevale, ma a noi dei festeggiamenti interessa ben poco. Venezia, la città di Vivaldi, Monteverdi, dei Gabrieli. Stiamo per incontrare una donna che è figlia e moglie di due grandi del Novecento musicale: Arnold Schoenberg e Luigi Nono.
Testimone privilegiata della grande storia della musica, ci ha concesso una video intervista e noi, emozionati, non ci siamo lasciati scappare l’occasione.
«Innanzi tutto – premette Nuria Schoenberg Nono – mi fa moltissimo piacere vedervi qui. Io sono innamorata della Sardegna e in particolare della vostra zona, ci veniamo almeno una volta all’anno per tutta l’estate. Io dirò Gigi quando parlo di Nono, perché per me era Gigi, e sarebbe ridicolo se dicessi il “Maestro Nono”. Anche Gigi amava moltissimo la Sardegna. Eravamo molto amici di Claudio Abbado, come forse già sapete, e siamo andati per qualche anno suoi ospiti, poi Gigi ha detto “beh, forse possiamo trovare un posto nostro”, un piccolo posto vicino a Claudio e possiamo stare lì. Per fine estate a casa di Abbado venivano tanti amici, tanti musicisti, direttori d'orchestra, Karlos Kleiber. Mi fa sempre piacere tutto quello che ha a che fare con la Sardegna perché per me è un sogno».
Che rapporto ha lei con la musica e cosa ha imparato da suo padre e da suo marito in termini musicali?
«Mio padre insegnava Armonia all’Università di Los Angeles, ma insegnava anche ai principianti, e ricordo che gli chiesi: “Papà, perché non mi insegni l’Armonia?”. Lui mi dette un libretto di un giovane compositore e mi disse: “Studia prima questo!”, (Nuria ride - ndr), per cui in questo senso non ho imparato da lui. Quando avevo sette-otto anni ho dovuto studiare violino ma ero proprio negata! Non studiavo, ed ero proprio un disastro! C’era una signora che aveva molto timore di mio padre, considerava un grande onore insegnare alla figlia che era negata. Mi incoraggiava dicendo “Oh bene, ripeti ancora una volta”, ma io sbagliavo lo stesso, per cui proprio non era cosa mia. Ecco, questo era il mio primo rapporto con la musica pratica. Invece con la musica da ascoltare… A Los Angeles non c'erano molti concerti, io sono nata nel ’32 e, quando sono diventata abbastanza grande per poter andare, ho assistito a concerti di musica contemporanea, ma non c’era una stagione concertistica regolare. Inoltre, gli altri concerti di musica classica erano, a detta di mio padre, poco interessanti: “Quel direttore è terribile, non andare! Quel musicista è terribile, non andare!”, per cui non ho mai sentito niente. I dischi allora erano molto cari e non ne avevamo tanti, c’era però un programma alla radio, sponsorizzato dalla compagnia del gas, e ogni sera, dalle 8 alle 10, trasmetteva di tutto: due ore di musica jazz senza pubblicità, e spesso ricevevamo il programma mensile, per cui conoscevamo la programmazione in anticipo. Allora, quando c’era qualcosa di interessante che per mio padre valeva la pena di ascoltare – e questo alla radio perché non c'era la tv – lui spesso prendeva la partitura dal suo studio e seguiva da lì. Siccome avevo studiato un po’ di musica, riuscivo anche a seguire, e questa è stata una cosa bellissima per me: stare lì ad ascoltare la musica e seguire sulla partitura. Questo è il mio rapporto con la musica e mio padre.
Lui aveva molta passione per l'insegnamento, gli piaceva ed era un insegnante fantastico. Conosceva ogni persona delle sue classi e cercava, quando dava un compito, di differenziarlo per quello che la persona poteva fare: se una studiava per maestra di asilo, dava esercizi più semplici e, se uno invece voleva diventare compositore, assegnava cose più difficili.
Per fortuna a Vienna, dove c’è il “Centro A. Schoenberg”, che è un enorme museo, sono conservati anche gli esempi musicali che lui faceva su carta, non avendo la lavagna; lui insegnava musica cominciando, mi ricordo, dalla fuga, perché abbiamo le pagine, queste grandissime pagine di carta, che in America chiamano “carta da macellaio”. La mattina, uno dei mie fratelli disegnava il pentagramma con un accessorio che mio padre aveva inventato, proprio fisicamente ideato, una “cosa” con delle matite a cera nere legate. Anche queste sono conservate a Vienna nel “Centro A. Schoenberg”. È molto bello capire e vedere come insegnava: io stavo li dietro, avrò avuto circa otto anni, ed ascoltavo, per cui non è che abbia imparato grandi cose anche perché questi erano studenti già ad alto livello, ma ascoltavo e qualcosa della musica mi è rimasto».
Cosa l’ha colpita di Luigi Nono?
«Beh, questa è una bella storia, sembra inventata. Nel 1954 sono tornata in Europa da Los Angeles. Io sono nata in Spagna, poi sono stata un anno e mezzo in Germania e in seguito siamo emigrati in America. Da allora non c’ero più stata. Dopo la morte di mio padre, nel 1954 siamo andate ad Amburgo (ndr - insieme alla madre) per la prima esecuzione concertante di “Mose e Aronne”. Luigi Nono studiava con H. Scherchen, grande amico di mio padre e che avrebbe voluto dirigere la prima assoluta di questo brano, ma, purtroppo, la “Radio tedesca” scelse un altro direttore.
Gigi aveva aiutato Scherchen per la parte dell’orchestra, per cui conosceva già molto bene quella musica e volle sentirla. Quando siamo arrivati alla prova generale, dissero a mia madre che un compositore italiano voleva conoscere la vedova di Schoenberg, per cui ce lo presentarono. Il concerto era stato un enorme successo e io non avevo mai vissuto una cosa simile: una magnifica esecuzione, il pubblico che applaudiva, così tanto entusiasmo, pieno di persone che avevano conosciuto mio padre quando erano giovani; era una emozione indescrivibile essere lì anche per me, perché in America sono solo Nuria la sorella di Ronnie, quello che ha vinto il torneo di tennis! Anche a mio padre, quando è venuto a guardare mio fratello giocare – era un bambino molto bravo – risposero al suo “Io sono Arnold Schoenberg” con: “Ah, ma lei è il padre di Ronnie!” (n.d.r. ride divertita).
Dopo il concerto c'era una cena cui parteciparono tutti i musicisti della “Radio di Amburgo”, il direttore d’orchestra e altri. Io ero seduta in un tavolo lunghissimo e di fronte, un po’ più in là, c’erano gli altri, e mia madre più distante. Gigi ha iniziato a farmi delle domande sull’America: voleva sapere cosa succedeva a Detroit perché lui, leggendo l'Unità, sapeva molto più di me di cosa succedeva nelle fabbriche di automobili, perché a me non interessava per niente l’argomento! Continuava a domandarmi cose sull’America e parlavamo in tedesco, che non è né la mia né la sua lingua. A un certo punto, non mi veniva in mente la parola “governo” in tedesco, e questo è il punto di tutta questa storia: io ho sentito l’urgenza di rispondere a quella persona, con quegli occhi che aveva che ti guardavano in un certo modo, e allora ho urlato – adesso non divento più rossa, però ancora mi vergogno –: “Mamma, come si dice governo in tedesco?” E lei, tranquilla: “Regierung”. E questo il primo momento del resto della mia vita, credo, perché ho sentito questa “urgenza” di rispondergli, ho sentito questa intensità di lui che voleva sapere tutto».
Quali sono le composizioni di suo marito a cui è legata?
«Beh, potrei dire quella che ha scritto per me, ma non è vero. Ossia, ci sono legata, ma non l’ho quasi mai sentita perché viene eseguita poco ancora adesso. Oltre a quella, anche “Il canto sospeso”, una facile risposta, o il “Quartetto”, quando è suonato bene e c’è l’atmosfera giusta: è una cosa che ti prende! Il “Prometeo” per me, però possono essere anche altre. È come chiedere quali dei tuoi figli ti piaccia di più».