Il personaggio
Dal team del Cagliari a “Tiki Taka”, le mille vite di Enzo Fortunato
di Mario Frongia
CAGLIARI. Da Londra al Tiki Taka. Passando per Charles Forte e cappuccino e cornetto italiano per Freddy Mercury e David Gilmour dei Pink Floyd. A seguire, le coccole di Laura Pausini e la tv di...
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CAGLIARI. Da Londra al Tiki Taka. Passando per Charles Forte e cappuccino e cornetto italiano per Freddy Mercury e David Gilmour dei Pink Floyd. A seguire, le coccole di Laura Pausini e la tv di Piero Chiambretti. In mezzo, il Forte Village. Enzo Fortunato, pizzaiolo, cameriere, chauffeur, tessitore di contatti di alto profilo. Simpatia che dura nel tempo. Diretto e senza fronzoli, 71 anni, un film esistenziale in prima fila. Con umiltà e fatica. Da Ravello in cima al mondo con i big di sport e spettacolo. Ma anche i reali d’Inghilterra, attori, cantanti, comici. «Da dove partiamo? Da Carlo Ancelotti. È mio amico da quando allenava il Parma, veniva al Forte con la famiglia. A Tiki Taka ha detto a Chiambretti che aveva creato un mostro. Quel mostro sarei io!».
Autoironia, abilità nel gestire la clientela top del resort a cinque stelle. Ieri, tra squadre blasonate e campioni. Oggi, il lunedì in prima serata su Italia 1: «Mi ha chiamato Al Bano: “Enzo, ormai sei più conosciuto di me”. La verità? Ringrazio Piero. L’ho conosciuto la scorsa estate, era al Forte per ritrovare serenità dopo la morte della madre per Covid. Mi ha visto sul palco e proposto di andare alla sua trasmissione. Pare che funzioni». Un filo di modestia accompagna decine di aneddoti. Dietro, una montagna scalata senza mai mollare. Enzo Fortunato lascia la Costiera amalfitana in pieno ’68. Lo spediscono a Londra: «Dovevo imparare la lingua. Ho iniziato in sala al Café Royal di Regent Street a Soho, culla della musica mondiale. Charles Forte l’aveva appena rilevato. Poi, mi disse che gli serviva un maggiordomo e una persona di fiducia, abile anche in cucina. Poi, andai a lavorare da “Gennaro’s”, il ristorante di famiglia. Ricordo i Queen, alcuni dei Genesis e dei Jethro Tull, Rod Stewart, il sassofonista Ronnie Scott». Note e pagine in bianco e nero, emozioni a colori. «Forte era tra gli imprenditori più noti e importanti d’Inghilterra, la regina gli ha dato un’onorificenza. Alla sua tenuta di Reply, a un’ora da Londra, venivano a caccia anche i reali con Anna d’Inghilterra. Arrivavo all’alba, accendevo il camino e preparavo la colazione. Nella dressing room gli ospiti si cambiavano per la battuta. Offrivo pasticcini italiani: “Enzo, il tuo caffè è unico” diceva la principessa. Jackie Stewart mi chiedeva le uova strapazzate alla napoletana. Il segreto? Non si dice».
Jet set, mondanità, diplomatici e businessmen. Ma freddo, pioggia e nebbia non aiutano. «Dopo un anno, ho chiesto a Sir Charles di farmi andare a lavorare d’estate in Sardegna, al Forte. Mi diede il via libera. Per ventotto anni ho fatto la spola». Il trampolino decisivo. «Al resort ho assistito al debutto di Toto Cotugno e Zucchero: in un suo libro dice che l’abbiamo trattato male perché lo facevamo suonare con l’orchestrina all’arrivo dei clienti». Dal Forte al Cagliari.«In pizzeria il presidente Cellino mi dice: se vado in Coppa Uefa mi serve un team manager che parli le lingue e ti assumo. Fu di parola. Sono rimasto nel club per nove anni, guadagnavo tre milioni al mese. Massimo era capace di grandi slanci. Un ricordo? Giocavamo a Venezia, eravamo in ritiro al Lido, a Villa Mapaba. Il patron arriva con i figli piccoli, Ercole ed Edoardo. Mi dice: «Stanotte vado al casinò. Enzo, fammi una cortesia, i bambini possono dormire solo con te. Se vinco ti do il dieci per cento». Al mattino trovai sul comodino due milioni di lire in pezzi da centomila.
Autoironia, abilità nel gestire la clientela top del resort a cinque stelle. Ieri, tra squadre blasonate e campioni. Oggi, il lunedì in prima serata su Italia 1: «Mi ha chiamato Al Bano: “Enzo, ormai sei più conosciuto di me”. La verità? Ringrazio Piero. L’ho conosciuto la scorsa estate, era al Forte per ritrovare serenità dopo la morte della madre per Covid. Mi ha visto sul palco e proposto di andare alla sua trasmissione. Pare che funzioni». Un filo di modestia accompagna decine di aneddoti. Dietro, una montagna scalata senza mai mollare. Enzo Fortunato lascia la Costiera amalfitana in pieno ’68. Lo spediscono a Londra: «Dovevo imparare la lingua. Ho iniziato in sala al Café Royal di Regent Street a Soho, culla della musica mondiale. Charles Forte l’aveva appena rilevato. Poi, mi disse che gli serviva un maggiordomo e una persona di fiducia, abile anche in cucina. Poi, andai a lavorare da “Gennaro’s”, il ristorante di famiglia. Ricordo i Queen, alcuni dei Genesis e dei Jethro Tull, Rod Stewart, il sassofonista Ronnie Scott». Note e pagine in bianco e nero, emozioni a colori. «Forte era tra gli imprenditori più noti e importanti d’Inghilterra, la regina gli ha dato un’onorificenza. Alla sua tenuta di Reply, a un’ora da Londra, venivano a caccia anche i reali con Anna d’Inghilterra. Arrivavo all’alba, accendevo il camino e preparavo la colazione. Nella dressing room gli ospiti si cambiavano per la battuta. Offrivo pasticcini italiani: “Enzo, il tuo caffè è unico” diceva la principessa. Jackie Stewart mi chiedeva le uova strapazzate alla napoletana. Il segreto? Non si dice».
Jet set, mondanità, diplomatici e businessmen. Ma freddo, pioggia e nebbia non aiutano. «Dopo un anno, ho chiesto a Sir Charles di farmi andare a lavorare d’estate in Sardegna, al Forte. Mi diede il via libera. Per ventotto anni ho fatto la spola». Il trampolino decisivo. «Al resort ho assistito al debutto di Toto Cotugno e Zucchero: in un suo libro dice che l’abbiamo trattato male perché lo facevamo suonare con l’orchestrina all’arrivo dei clienti». Dal Forte al Cagliari.«In pizzeria il presidente Cellino mi dice: se vado in Coppa Uefa mi serve un team manager che parli le lingue e ti assumo. Fu di parola. Sono rimasto nel club per nove anni, guadagnavo tre milioni al mese. Massimo era capace di grandi slanci. Un ricordo? Giocavamo a Venezia, eravamo in ritiro al Lido, a Villa Mapaba. Il patron arriva con i figli piccoli, Ercole ed Edoardo. Mi dice: «Stanotte vado al casinò. Enzo, fammi una cortesia, i bambini possono dormire solo con te. Se vinco ti do il dieci per cento». Al mattino trovai sul comodino due milioni di lire in pezzi da centomila.