La Nuova Sardegna

I Vichinghi e i Nuragici, lo strano caso degli elmi

Paolo Curreli
I Vichinghi e i Nuragici, lo strano caso degli elmi

Dalla Danimarca l’ipotesi secondo cui i copricapi con le corna arrivarono dalla Sardegna. L’opinione degli archeologi Fulvia Lo Schiavo e Mauro Perra

17 gennaio 2022
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Una notizia che accende la fantasia del lettore, e anche quella dei titolisti dei giornali: “Gli elmi dei vichinghi arrivano dalla Sardegna” e da qui il passo è breve, erano gli stessi elmi o erano ispirati agli splendidi copricapi sfoggiati dai bronzetti nuragici. Ma basta ragionare un attimo per ricollocare il tutto nella giusta dimensione di tempo e di spazio. Intanto l’immagine del guerriero nordico con in testa l’elmo dalle grandi corna – che a bordo della sua imbarcazione drakkar terrorizza il mondo – è un’invenzione romantica, piaciuta tanto ai costumisti wagneriani ma per niente veritiera. Nessun ritrovamento o sepoltura vichinga ha restituito elmi cornuti.

Poi, dato essenziale, la civiltà norrena della Scandinavia, dello Jutland e della Germania settentrionale risale alla fine dell’VIII e l’XI secolo. Precisiamo: dopo Cristo, circa dall’800 ai primi decenni dell’anno 1000. La civiltà nuragica nasce alla fine dell’Età del Bronzo Antico 2000-1800 avanti Cristo e prosegue fino al X-IX secolo avanti Cristo. I Fenici, che avrebbero potuto portare manufatti dal Mediterraneo fino al lontano Nord, erano attivi fra il 1000 e il 700 a.C. Torniamo quindi alle fonti della notizia. Nel 1942 a Viksø, in Danimarca, vengono ritrovati alcuni frammenti che ricostruiti dagli archeologi si rivelano due splendi elmi con corna ricurve. Per la cultura popolare sono, ovviamente, vichinghi. Ma per gli studiosi il tutto suggerisce che i manufatti avessero avuto origine nell’età del bronzo nordica (all’incirca dal 1750 a.C. al 500 a.C.).

Gli studi danesi

Nel 2019 un frammento di catrame di betulla utilizzato per incollare delle piume su un casco, essendo materiale organico, può essere sottoposto all’indagine e del Carbonio 14. Il risultato viene reso noto dall’archeologa danese Helle Vandkilde la settimana scorsa: «Gli elmi furono depositati nella palude, intorno al 900 a.C. Le corna taurine sono simboli solari e un’iconografia simile dell’epoca è stata trovata nell’isola mediterranea della Sardegna e non è certamente una coincidenza, ci deve essere stata una sorta di connessione».

Lo strano parallelo

Ecco ricostruita la genesi dell’attribuzione e il parallelo nuragici-vichinghi. Fulvia Lo Schiavo, archeologa eminente, studiosa tra le più note delle antiche civiltà della Sardegna, dove ha ricoperto il ruolo dirigenziale della soprintendenza di Sassari e Nuoro, e protagonista degli studi ciprioti che rivelano i nuragici come un popolo di navigatori, è la figura che può dare un’opinione fondata sulla vicenda.

«Intanto se c’è un elemento che collega l’intera umanità è la simbologia delle corna come potenza e forza. Persino alcune tribù di nativi americani, per parlare di un popolo lontanissimo dalle culture europee, usano come copricapo le pelli di bisonte con le relative corna – sottolinea Lo Schiavo –. Non si può coniugare l’oggetto, che di per sé non può dire niente, a una teoria, bisogna che questa sia sorretta da prove scientifiche. Dati che arrivano dalla stratigrafia degli scavi e dalle analisi dei materiali e queste, nel caso dei metalli, sono particolarmente complicate ed in corso di continuo aggiornamento. Non escludo niente, ogni ipotesi può rivelarsi valida ma questa al momento sembra un po’ inconsistente. Intanto i nuovi studi, ormai acclarati, portano la datazione dei bronzetti nuragici, e dei loro elmi quindi, molto più indietro di quanto si credeva: non più alla prima Età del Ferro ma a partire almeno dall’inizio dell’Età del Bronzo Finale in poi (XII-X secolo aC). Allontanando ancora di più gli antichi sardi dalle culture vichinghe».

Nuovo volto nuragico

La civiltà dei nuraghi rivela sempre nuovi volti, non più un popolo asserragliato nelle torri di pietra. «Certamente no, anche il termine “asserragliato” non più è valido, i nuraghi non erano costruzioni militari e i sardi antichi avevano numerosi contatti con i popoli della loro epoca – sostiene Fulvia Lo Schiavo –. Come oramai accertato i contatti e i traffici fra la Sardegna nuragica e il Mediterraneo orientale erano improntati dal mercato e dagli scambi ed in particolare del prezioso rame cipriota. Che tali rapporti fossero tutt’altro che sporadici e casuali appare chiaro dalla larga distribuzione dei lingotti oxhide nell’isola. A Cipro sono state rinvenute ceramiche nuragiche negli scavi dell’insediamento di Larnaca, corrispondente al periodo della civiltà nuragica compreso fra la fine del Bronzo recente e della prima Età del ferro. Le analisi delle argille ne hanno chiarito la provenienza dalla Sardegna centro-meridionale, mentre il piombo per la riparazione dei vasi proviene dal Sulcis. Si tratta sia di ceramiche fini da mensa, sia di oggetti per la conservazione di liquidi e per il trasporto presenti quasi sempre in ambiente domestico nuragico».

Il mediterraneo

Questi navigatori e commercianti, allora, potrebbero essere anche protagonisti di scambi con il lontano Nord.

«Anche io non escludo questa eventualità, ma come sostiene Fulvia Lo Schiavo aspetto prove scientifiche più concrete» aggiunge Mauro Perra, archeologo che dirige il museo di Villanovafranca e lo scavo di uno dei monumenti più significativi della protostoria dell’intero Occidente: il nuraghe Arrùbbiu di Orroli. «Le “scienze dure”: chimica, mineralogia, genetica delle popolazioni, hanno aperto nuove e imprescindibili strade all’archeologia. Oggi non possiamo fare a meno di questi dati e per quello che riguarda gli elmi danesi sono ancora troppo scarsi. Allo stesso tempo dobbiamo abbandonare l’idea che le civiltà preistoriche fossero dei mondi chiusi dalle difficoltà di comunicazione e dalla mancanza di mezzi di trasporto. Il Mediterraneo è un continente liquido, un melting pot di popoli protagonisti, ognuno a suo modo, dello sviluppo della civiltà».

Scambi da nord a sud

«I popoli viaggiano, scambiano, cercano il rame e lo stagno, per fare il bronzo che da il nome a questa età. È la prima globalizzazione mediterranea. Ma non bisogna dimenticare anche le rotte da nord a sud, quelle del Baltico e lungo il Danubio da cui arriva l’ambra, ritrovata anche in Sardegna. Quindi i movimenti di uomini, merci e idee esistono, tralasciando, ovviamente i vichinghi successivi di molti secoli».

Un mondo aperto agli scambi, anche quelli con popoli più lontani, certo scorrendo i social si incontra anche un certo orgoglio di qualche sardo nell’essere imparentati con i terribili vichinghi. «La civiltà nuragica è stata così grande, interessante e complessa che davvero non ha bisogno della fantasia per affascinarci e stimolare la curiosità e gli studi – precisa Mauro Perra –. Anzi da archeologo le dico una cosa: se dovessi scegliere una antica civiltà dove rinascere non sceglierei l’ antico Egitto, monumentale e con una rigida gerarchia, ma proprio l’aperto e policentrico mondo nuragico».

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