La Nuova Sardegna

Fabio Volo: «I 50 anni non mi spaventano, mi sento sempre un 20enne»

di Alessandro Pirina
Fabio Volo
Fabio Volo

Lo scrittore arriva nell’isola per presentare l’ultimo best-seller, “Una vita nuova”: «Vendo molto e questo dà fastidio ma per la prima volta la critica mi ha elogiato»

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L’ultimo libro di Fabio Volo è un romanzo on the road, ambientato tra Milano e la Puglia, ma in qualche modo anche scritto on the road. Tra albe, tramonti e birrette, tra spiagge e calette del nord della Sardegna, dove l’estate scorsa lo scrittore-attore-showman si è rintanato per qualche giorno da solo. Con lui soltanto il Mac e un generatore per ricaricarlo in mezzo alla natura. Ora Fabio Volo torna in Sardegna per presentare “Una vita nuova”, ennesimo successo edito da Mondadori. Sarà venerdì alle 18 a Sassari, nella sede della Camera di commercio, sabato alle 16 al cinema Miramare di Alghero, domenica alle 15.30 al Teatro Massimo di Cagliari.

Volo, su Instagram ha scritto: torno dove il libro in parte è nato. Che ruolo ha avuto la Sardegna in questo suo undicesimo romanzo?

«Sono venuto in camper da solo, sono sbarcato a Olbia, mi sono fermato nella zona di San Teodoro, poi sono andato fino a Stintino e Alghero, infine sono tornato indietro. È stato bellissimo: albe, tramonti, candele, bagni appena sveglio».

“Una vita nuova” è un libro on the road. Nel vero senso della parola, ma anche sulla strada della vita: arrivati a una certa età interrogarsi su amore, famiglia, amicizia è una tappa obbligata?

«Secondo me non è una cosa che fanno tutti, ma molti sì. Oggi le faccende della vita hanno preso il posto della vita stessa. Quindi, capita che uno per una botta - che ne so: un incidente o la fine di una storia - rompa questa catena di abitudini e si trovi costretto a scendere dal treno su cui viaggia da anni. E a quel punto si chiede: ma sono felice? Dove ho sbagliato? Ma, ripeto, non succede a tutti».

Quanto Fabio c’è nel personaggio di Paolo?

«Non solo Paolo, io sono un po’ tutti e tre i protagonisti. In ognuno dei personaggi ci sono fasi della mia vita e parti del mio carattere, che ovviamente ho un po’ esasperato. In Paolo c’è la mia parte premurosa, le mie paure. Ma sono anche uno che si butta a bomba senza guardare se ci sono scogli come Andrea, l’amico. E mi piace anche starmene lontano da tutto, isolato a meditare, pregare, cercare connessioni come Nicola, il fratello di Paolo».

Un tema presente è il non detto. “Difficile insegnare un alfabeto che non si conosce”, dice Paolo sul rapporto con il figlio piccolo. Quanto è importante parlare, dirsi le cose?

«Tantissimo, perché il silenzio ha un significato ma l’interpretazione del silenzio fatta da un’altra persona ne ha un altro ancora. Quando non si parla si crea una realtà che non è reale e nascono le famose incomprensioni».

Ha rimpianti, per esempio, di non avere detto qualcosa a suo padre?

«Sono stato veramente fortunato perché, dopo tutta una vita di silenzi, con mio padre sono riuscito a riavvicinarmi prima che morisse. È stato leggendo un mio romanzo, “Il tempo che vorrei”, che lui si è accorto di qualcosa che mancava e si è avvicinato a me. Poi gli ultimi anni della malattia lo hanno costretto a stare fermo e siamo stati tanto insieme».

Paolo è un tipico figlio italiano con una mamma chioccia. Anche la sua è così?

«Ricordo quando avevo 35 anni e stavo a Milano, lei mi chiamava: “vieni a casa e portami la biancheria che te la lavo”. Ripeto, avevo 35 anni»

Nella vita di Fabio chi è Andrea?

«Di Andrea ne ho avuti in passato e anche io sono stato l’Andrea di tanti miei amici».

Ogni libro è un best-seller, in 20 anni ha venduto oltre 8 milioni di copie. Eppure la critica spesso la bistratta. Le fa male?

«Devo dire che con questo libro non è successo. Ce ne sono voluti undici  (ride). Ho avuto ottime recensioni, anche dalla cosiddetta intellighenzia. In passato - certo - non mi ha mai fatto piacere essere massacrato. Ma forse, non essendo io andato a scuola, non ho mai avuto l’ossessione del voto. Ma del giudizio sì. A 14 anni ho imparato a lavorare da mio padre panettiere. Mi diceva: “il forno è la coscienza”. Quindi, se nel lavoro ho dato tutto me stesso, le critiche non mi fanno sentire in colpa. E poi non sono Dostoevskij ma Fabio Volo. E aggiungo un’altra cosa...»

Prego.

«Le critiche - anche violente - che ho subito in passato non le ricevevo per come scrivo i libri, ma perché ne vendevo tanti. Ad altri che ne hanno scritto di veramente brutti nessuno ha mai detto nulla. A rompere le palle era la classifica. Una volta il successo di uno ha trascinato anche i precedenti e mi sono ritrovato con cinque libri nella top ten».

Cosa succederà il 23 giugno 2022?

«Ne faccio 50. Ma non mi sento invecchiare. Il fisico performa meno, ma dentro resto un ventenne che va in giro in Vespa»

Wikipedia dice: attore, scrittore, conduttore radiofonico, conduttore televisivo, sceneggiatore, doppiatore. Cosa c’è scritto nella sua carta di identità?

«In questo momento l’ho persa e giro con la denuncia. Ma l’ultima volta che l’ho rinnovata alla signora allo sportello ho spiegato quello che facevo e lei mi ha detto: “scriviamo artista”. Mi sono vergognato più della parola artista che della fotografia».

Si era parlato di un suo ritorno in tv su Rai 3 nello show che fu di Raffaella Carrà.

«Ci stavamo pensando, poi il progetto si è fermato. Vediamo come e se si svilupperà. Da quando la madre dei miei figli è rimasta incinta io ho mollato cinema e tv. Mi sono dedicato solo alla radio, perché volevo il tempo necessario per fare non il genitore ma il padre. È arrivato il momento di tornare: al cinema l’ho già fatto, ora tocca alla tv».

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