La Nuova Sardegna

L'intervista

Fausto Russo Alesi: «Nei panni di Cossiga per interpretare la Storia»

di Fabio Canessa
Fausto RussoAlesi nei panni di Cossiga
Fausto RussoAlesi nei panni di Cossiga

Nella serie di Marco Bellocchio “Esterno notte” sul caso Moro l'attore impersona l’allora ministro degli Interni

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Il caso Aldo Moro raccontato attraverso lo sguardo dei personaggi che di quella tragedia furono protagonisti e vittime. È la molteplicità dei punti di vista a caratterizzare “Esterno notte”, la serie di Marco Bellocchio che dopo l’anteprima a Cannes e un passaggio nelle sale andrà in onda su Raiuno lunedì, martedì e giovedì. Tre serate per un totale di quasi sei ore dove si affrontano, con la forma di un grande romanzo popolare, quei 55 giorni che hanno segnato la storia italiana. Dal sequestro, con l’agguato di via Fani il 16 marzo del 1978, all’uccisione dello statista, con il ritrovamento del cadavere il 9 maggio. Tra i personaggi centrali di quella vicenda Francesco Cossiga, all’epoca ministro dell’Interno, che nella serie è interpretato da Fausto Russo Alesi. Una prova molto apprezzata dalla critica quella dell’attore siciliano che con Bellocchio aveva già lavorato altre volte: da “Vincere” al più recente “Il traditore” dove impersona Giovanni Falcone. «Ogni progetto che ho avuto la fortuna di fare con lui – sottolinea Fausto Russo Alesi – mi ha estremamente arricchito. E sono onorato per la fiducia che ha riposto in me, affidandomi ruoli così importanti come quelli di Falcone e Cossiga. Personaggi che sono nell’immaginario di tutti noi».

Che sfida rappresenta per un attore affrontare personaggi realmente esistiti, e di questo spessore, rispetto ad altri di fantasia?

«Sicuramente sono personaggi complessi con i quali misurarsi. Da un alto c’è la necessità di restituirne la realtà storica, ma allo stesso il bisogno di farne un’interpretazione e in questo senso lasciarsi dei margini di libertà per raccontarli in modo più personale».

In particolare Bellocchio cosa le ha chiesto per l’interpretazione di Cossiga?

«Prima di tutto va detto che la base di partenza è una sceneggiatura straordinaria, precisa nel concentrarsi sui 55 giorni del caso Moro. Quindi abbiamo cercato il Cossiga di quel momento storico, più giovane rispetto a quello che era presente nel mio immaginario. Anche per questioni di età lo ricordavo soprattutto come Presidente della Repubblica. E parallelamente alla dimensione pubblica quello che raccontiamo è un Cossiga più privato, intimo. A Marco Bellocchio interessava concentrarsi sui personaggi e non in maniera ideologica, ma cercando di mettere al centro l’essere umano con la sua complessità. Ne sono venuti fuori personaggi con una potenza quasi shakespeariana».

Personalmente che lavoro ha fatto per avvicinarsi a un ruolo così impegnativo?

«Mi sono documentato attraverso varie fonti, testimonianze, la biografia. E con i video che ci sono a disposizione per cercare di captare le caratteristiche del personaggio, con un lavoro anche sul modo di parlare. Una fase di preparazione necessaria per poi abbandonarsi alla vicenda del caso Moro. Nello specifico quello che vive Cossiga in quei 55 giorni è una crisi di coscienza perché si dibatte tra la ragione umana e la ragione di Stato. Era ministro dell’Interno e doveva dare delle risposte, trovare delle soluzioni, ma era anche allievo e grande amico di Moro. L’incapacità, l’impossibilità di salvarlo hanno rappresentato un dolore enorme che si è portato dietro».

Ma alla fine, preparandosi per le riprese e poi interpretandolo, che idea si è fatto di Francesco Cossiga?

«Quella di una figura imprendibile, spiazzante. Un personaggio sfaccettato, coltissimo, ironico, capace di esternazioni anche rabbiose. Con una vena anche di follia mi viene da dire, al di là della ciclotimia di cui si è parlato e che probabilmente influenzava il suo quotidiano. Il mio lavoro è stato quello di cercare di andare a fondo nelle contraddizioni, nelle ombre di questo essere umano che nel racconto si muove in bilico tra due mondi: quello reale a cui deve dare una risposta e quello che immagina nella sua testa nella lunga notte oscura di quei due mesi del 1978».

Al suo fianco ha avuto un gruppo di attori e attrici di grande livello.

«Un cast meraviglioso. Da Fabrizio Gifuni, straordinario nell’interpretazione di Moro, a Margherita Buy, nel ruolo della moglie, da Toni Servillo, nei panni di Paolo VI, a Daniela Marra e Gabriel Montesi nel ruolo di Adriana Faranda e Valerio Morucci, componenti delle Brigate Rosse. E poi tutti gli altri che anche nei ruoli più piccoli hanno contribuito in maniera rilevante e molto precisa a questo grande progetto. Tra questi c’è l’attore sardo Jacopo Cullin che fa Luigi Zanda, allora portavoce di Cossiga. Mi sono trovato benissimo con lui. Abbiamo recitato insieme in alcune scene molto importanti, momenti cruciali del racconto».

Ora la serie sbarca su Rai1, con la possibilità di arrivare a milioni di spettatori. Quanto è importante “Esterno notte” anche per ribadire l’importanza della memoria storica?

«Se una serie come questa si avverte la necessità di farla, vuol dire che quel momento storico continua a parlarci. È una ferita ancora aperta che fa eco su di noi, una vicenda che presenta ancora dei lati oscuri e fa appello alla nostra coscienza».

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