La Nuova Sardegna

Archeologia

Mont ’e Prama guarda al futuro, ma da sottoterra arrivano altri reperti

di Paolo Camedda

	Il modellino di nuraghe ritrovato nei giorni scorsi a Mont 'e Prama
Il modellino di nuraghe ritrovato nei giorni scorsi a Mont 'e Prama

Gli scavi hanno portato al ritrovamento di nuovi tesori del passato. Intanto si affina l’intesa tra Soprintendenza, Fondazione e Museo civico in vista del cinquantenario della scoperta dei Giganti

01 novembre 2023
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Cabras Fra presente e futuro, indagando il passato. La ricerca archeologica nel sito di Mont ’e Prama continua a regalare reperti e scoperte. Alessandro Usai, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna, che con la collega Maura Vargiu ha la direzione scientifica del cantiere aperto lo scorso luglio nella collina del Sinis, ha raccontato le fasi degli ultimi ritrovamenti, focalizzandosi poi sulle prospettive future dell'indagine.

L’ULTIMA CAMPAGNA «Il cantiere è iniziato a luglio, in un periodo di grande caldo –racconta Alessandro Usai -. Per otto settimane abbiamo lavorato con grande ritmo, senza riflettori accesi, ma facendo un lavoro molto importante nell’ambito di quegli edifici nuragici che si trovano a breve distanza dalla necropoli. Avevamo iniziato il lavoro nel 2015 e ancora non lo abbiamo terminato. In quella zona siamo a conoscenza della presenza di un edificio circolare con 9 metri di diametro e altri ambienti. Questo significa che esisteva una serie di edifici con funzioni cerimoniali collegate ai riti funerari. È stato molto importante tornarci per proseguire le indagini, pensavano di sbrigarci velocemente ma in archeologia questo raramente succede».

Gli scavi in quella zona hanno portato una novità. «Abbiamo trovato un muro, che dobbiamo seguire. Ha una parte interna e una esterna e a noi interessano entrambi i versanti – ha affermato l’archeologo –. I reperti presenti nell’area sono invece di entità modesta. Si tratta di ceramiche che, in ogni caso, per un archeologo sono indispensabili per ricostruire il racconto storico basato sui periodi e le epoche storiche».

Successivamente l’équipe si è concentrata sull’area meridionale del sito. «Gli studi sul settore degli edifici non sono ancora chiusi, ma nel frattempo avevamo necessità di tornare dove avevamo già lavorato in precedenza, nel terreno a Sud della Confraternita del Rosario – ha spiegato Alessandro Usai –, perché avevamo un importante lavoro da completare. Siamo ripartiti su quel settore nel 2022, e nel primo tratto avevamo ritrovato le ultime due statue dei Giganti, i modellini di nuraghe e i tanti frammenti recuperati. Adesso abbiamo completato un altro settore su quella direttrice e a breve proseguiremo con la grande espansione, dove non abbiamo mai scavato prima. Per orientarci, di volta in volta, stiamo scavando delle trincee esplorative per capire cosa ci troviamo di fronte. Adesso ci aspetta un ulteriore ampliamento».

Intanto si sorride per gli ultimi reperti ritrovati. «La novità per il momento è solo quantitativa. Continuano a venire fuori i modellini di nuraghe, diventati luoghi di culto nell'età del ferro. In particolare abbiamo ritrovato la torre esposta nel museo da pochissimi giorni e un altro nuraghe quadrato con gli spigoli fratturati e tenuti dalla terra. Questo nuraghe non poteva essere esposto in piedi e stare in esposizione libero. Infatti lo abbiamo avvolto e per il momento era possibile esporre solo questa torre nuragica, un fusto troncoconico che nella parte alta si espande con la solita raggiera che rappresenta le mensole che sorreggono la parte terminale».

L'archeologo precisa: «Non si tratta di riproduzioni fotografiche e realistiche, ma riproduzioni in parte realistiche e in gran parte simboliche, che rappresentano l’idea del nuraghe idealizzata nel numero delle torri e nella loro altezza, a simboleggiare la grande maestria dei costruttori. L’esaltazione delle origini significava per loro anche l'esaltazione dei discendenti di cotanti antenati».

GLI SCAVI FUTURI «Mi aspetto qualche altra sorpresa. Mi piacerebbe moltissimo trovare la famosa e ipotetica necropoli delle donne e dei bambini». L'archeologo Alessandro Usai svela un desiderio ambizioso per il prosieguo della campagna di scavo a Mont ’e Prama: «Finora abbiamo trovato solo i resti di individui maschi, dai ragazzi di 16 anni agli adulti fino ai 40 anni, ma mancano importanti fette della società che abitava quelle terre. Per cui chissà, potrebbe essere quella la prossima importante scoperta a Mont’e Prama». Gli scavi, finanziati dal ministero della Cultura con 600mila euro, proseguiranno fino a giugno 2024. «Abbiamo un percorso segnato – ha detto Usai –, partendo dalle trincee del 2016 abbiamo alcuni metri di prosecuzione in cui continueremo a trovare un po’ di sculture di nuraghe e frammenti. Speriamo però ci sia anche qualcos’altro di interessante. Queste sculture prima o poi, gioco forza, finiranno, e a quel punto mi aspetto qualche sorpresa».

Poi ha precisato: «Abbiamo completato un altro settore sulla direttrice meridionale e a breve proseguiremo con la grande espansione, dove non abbiamo mai scavato prima. Per orientarci, di volta in volta, abbiamo scavato delle trincee esplorative in modo da capire cosa ci trovavamo di fronte. Adesso ci aspetta un ulteriore ampliamento». Intanto la torre di nuraghe appena ritrovata è in buone condizioni ed è stata esposta nella sala del museo civico di Cabras che ospita anche gli altri modellini. Ha un fusto troncoconico che nella parte alta si espande con la solita raggiera che rappresenta le mensole che sorreggono la parte terminale. Oltre ai due reperti più integri, però, ci sono anche tanti frammenti, di quelli ritrovati negli scorsi anni e di questi più recenti. I pezzi sono tanti e va fatta una suddivisione per tipi, categorie, dimensioni e stato di conservazione, in un lavoro condotto in sinergia fra archeologi e restauratori.

LA SQUADRA Gli scavi a Mont'e Prama sono condotti dalla Soprintendenza su mandato del ministero. «Come Soprintendenza ci muoviamo in qualità di braccio operativo di una sovrastruttura, il ministero della Cultura, che ha erogato il finanziamento – sottolinea l’archeologo Alessandro Usai –. La Direzione generale ha approvato i nostri progetti, ci incoraggia e ci sostiene nel nostro lavoro, con la necessità che lo scavo non sia un momento episodico, ma parte di un percorso, e questo noi abbiamo sempre inteso fare». Quanto ai lavori, «sono eseguiti da una ditta siciliana che aveva già operato al Nuraghe Belveghile a Olbia, la Venezia srl di Villafranca Sicula, in provincia di Agrigento, che si è aggiudicata l’appalto. Ci danno la solidità, le attrezzature, le competenze e tante altre cose. Il personale è tutto sardo. Va ricordata in primis la mia bravissima collaboratrice Silvia Vidili, che lavora a Mont ’e Prama dal 2015 e sta lì tutti i giorni nel cantiere, coordina e dirige insieme a me il lavoro, che non è individuale ma d’équipe. Completano la squadra alcuni ragazzi che si sono specializzati e avevano già lavorato in passato a Mont ’e Prama. Ci danno il massimo supporto possibile».

LA FONDAZIONE: SGUARDO RIVOLTO AL 2024 Il nuovo responsabile scientifico della Fondazione Mont ’e Prama, l’archeologo Giorgio Murru, non nasconde la soddisfazione per i risultati che la campagna di scavi sta fornendo: «Da parte della Fondazione va fatto un plauso. Anche l'idea di costruire una struttura operativa potenziandola con una nuova area finalizzata alla ricerca e alla didattica crea un supporto straordinario all’accordo rafforzato nel tempo fra il ministero della Cultura e la Fondazione stessa. Su questi temi si svolge e si gioca la partita futura. C'è una ricerca che è appannaggio degli specialisti del ministero, e ci sono delle azioni che competono invece alla Fondazione».

Giorgio Murru guarda con orgoglio i reperti provenienti dall'ormai celebre sito nel Sinis: «Questo museo civico accoglie una quantità impressionante di ritrovamenti da Mont ’e Prama, senza contare il resto. È un luogo che, pur non adeguato ad accogliere un’esposizione così importante, si è prestato a farlo e qui a fianco sta nascendo, sperando possa completarsi velocemente, una nuova ala dedicata completamente a Mont ’e Prama. Inoltre la Fondazione sta conducendo un’opera di grande promozione della civiltà dei sardi e di ciò che sono stati in passato».

Il responsabile scientifico sottolinea: «Un ruolo fondamentale ce l'ha la curatrice di questo museo, Carla Del Vais, che ha consentito e creato le condizioni per ospitare tutti i reperti, mettendo il visitatore nelle condizioni migliori per fruire della visita al museo. La Fondazione, dal canto suo, può lavorare tanto per l’accessibilità dei reperti, che vanno resi fruibili a un pubblico molto più ampio che possa cogliere il senso pieno di questa straordinaria scoperta».

Il prossimo anno si celebreranno i cinquant’anni della scoperta dei Giganti di Mont ’e Prama. «La Fondazione sta mettendo a punto una di programmazione per l'anno venturo, in cui ricorrerà il cinquantennale della scoperta – annuncia Murru –. Sarà un momento anche di comunicazione archeologica e di coinvolgimento popolare speciale, in un momento in cui si parla tanto di Mont ’e Prama e della nostra Fondazione, grazie all’azione rivolta alla ricerca, alla costruzione dei sistemi di valorizzazione, e in modo particolare alle relazioni. Una relazione privilegiata con la Soprintendenza archeologica, un rapporto diretto ai piani più alti e soprattutto un modello di relazione e accordo che coinvolge tutti gli attori in campo, da chi fa gli scavi a chi cura il museo. All’interno della Fondazione ci saranno tre curatrici, ciascuna destinata ad un’area specifica: una alla ricerca, una alla didattica e la curatrice del Museo, che continuerà a fare sempre di più per questa importante realtà. In questo modo possiamo guardare al futuro in modo positivo».

IL MUSEO COME "CASA" DEI REPERTI La curatrice del Museo Marongiu, Carla Del Vais, ci tiene a sottolineare l’importanza della creazione di una filiera virtuosa dallo scavo all'esposizione nel museo: «Vorrei rimarcare il fatto che il Museo si pone come il luogo in cui la ricerca arriva e viene divulgata. Questo abbiamo cercato di fare in tanti anni, ponendoci come filtro fra la ricerca e i fruitori dei beni archeologici. La ricerca deve arrivare subito al museo anche con statue ingessate o piene di terra, anche per far capire che dallo scavo vengono fuori materiali che necessitano di un ulteriore sforzo di conservazione e di restauro prima di essere esposti. Le diverse istituzioni, tutte insieme, collaborano nelle varie fasi per arrivare dal ritrovamento alla valorizzazione del bene».

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