La Nuova Sardegna

Il ricordo

Nanni Loy, maestro del cinema con la sua Cagliari nel cuore

di Attilio Gatto
Nanni Loy, maestro del cinema con la sua Cagliari nel cuore

Ritratto del regista scomparso 28 anni fa: dalle candid camera ai film impegnati, dalla nomination agli Oscar all’amicizia con Solinas e Volonté

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Quel “Viaggio in seconda classe” nel treno degli “anni di piombo”. 1977, la bomba fascista è esplosa sull’Italicus solo tre anni prima, e Nanni Loy sale in vettura con la telecamera nascosta che aveva già sperimentato in “Specchio segreto”. Sembra un gioco, uno sberleffo, ma emerge un’Italia sotterranea, che non ha voce, in gran parte pulita, onesta. È tivù d’inchiesta e di spettacolo. È cinema verità. È leggerezza del racconto mista a profondità del disagio sociale. Insomma, è quella televisione fatta di divertimento, intelligenza e problemi che oggi non vediamo più. Eccolo Nanni, con barba e berretto, preme l’acceleratore sull’accento sardo. Passa il controllore. Nello scompartimento c’è una signora di mezz’età che ascolta e commenta con lo sguardo. Lui racconta di essere partito da Trieste, diretto a Cagliari. Il biglietto comprende anche il costo della nave ma, spiega, ha diritto a uno sconto dell’80 per cento perché «io batto bandiera panamense». E la bandiera incredibilmente la srotola e la mostra. Il controllore è finto, è un collaboratore che regge il gioco del sardo centroamericano: non batte ciglio e applica la tariffa più che ridotta. La signora ora è stupefatta e, scura in volto, con garbo fa sapere che no, non è giusto, che lo Stato ha diritto di riscuotere tariffa intera per il bene pubblico. Nanni Loy la fa parlare ed ecco la voce dell’Italia con il senso di comunità, di giustizia sociale. L’Italia capace di indignarsi davanti ai privilegi. Senza toni populistici, senza furberie.

I furbi non piacevano a Nanni Loy. Ha passato una vita a fare film drammatici e commedie, ma sempre di denuncia, capaci di dar luce alle zone grigie della nostra società. Chissà perché me lo ricordo più come attore che come regista. Forse non è difficile da capire. Nanni Loy era una presenza scenica notevole. Come in “Lettera aperta a un giornale della sera”, 1970, diretto da Citto Maselli: fa parte del gruppo scombinato di intellettuali che chiedono di andare a combattere in Vietnam, ma tirano un sospiro di sollievo quando il governo  comunista non accetta. E c’è anche lui nella commissione che giudica il famoso Dentone, il mitico personaggio che fa il concorso per annunciatore Rai, interpretato da Alberto Sordi, con la regia di Luigi Filippo D’Amico, nel film a episodi “I complessi”,1965.  Ma il pezzo forte sono proprio le performance della Candid Camera. A cominciare da “Specchio segreto”, 1964, di cui è assoluto protagonista, con la famosa zuppetta nel cappuccino degli allibiti avventori di un bar bolognese. Sempre, in qualunque occasione, Nanni Loy porta una carica, una mistura di passione civile e ironia graffiante. Forse l’ha ereditata dalla sua Cagliari, dov’è nato il 23 ottobre del 1925. Lui amava la città che ha lasciato quand’era ragazzo.

L’ho incontrato a Roma, nella sua casa in centro, sul lungotevere, molti anni fa. Mi ha raccontato delle lunghe nuotate al Poetto. E delle passeggiate da Castello a Marina, con i tramonti rosseggianti. Cresciuto nelle famiglie Loy Donà e Sanjust, aveva frequentato il liceo Siotto di Piazza Dettori con Paolo de Magistris e Luigi Pintor. Proprio Pintor, in un passo di “Servabo”, edito da Bollati Boringhieri, riassume le atmosfere che invitavano quei giovani della nobiltà cagliaritana al dialogo con gli operai, con i pescatori, col mondo: «Vivevamo allora nella splendida isola dei sardi, quando andare e venire dal continente era un’impresa. Sembrava che il piroscafo varcasse un oceano e i rari idrovolanti accendevano l’immaginazione. Con stupore, dai balconi di casa, li vedevamo alzarsi in volo dagli stagni e approdare in una scia di schiuma come nelle isole dei mari del sud, scoperte al cinema o nei racconti d’avventura...la città  era per noi un campo di giochi, il suo vecchio quartiere arrampicato nella roccia, i suoi bastioni e le sue torri, i vicoli che scendevano al porto come rigagnoli offrivano una libertà fisica senza confini». 

Probabilmente Nanni Loy aveva negli occhi anche queste immagini quando, incalzato dalle mie domande, ha ripercorso le tappe della sua carriera con quello sguardo simpaticamente disincantato. Naturalmente “Le quattro giornate di Napoli”, film sulla Resistenza con Gian Maria Volonté, candidato all’Oscar, dedicato all’undicenne Gennaro Capuozzo, medaglia d’oro al valor militare, morto con una bomba in mano, pronto a lanciarla contro i carri armati tedeschi. “Detenuto in attesa di giudizio”, 1971, con Alberto Sordi straordinario interprete drammatico, vigoroso atto d’accusa. “Il padre di famiglia” con Nino Manfredi, 1967, splendida cronaca di una crisi, con riferimenti autobiografici alla Sardegna. “Un giorno da leoni”, 1961, il dramma del Paese dopo l’8 settembre. “Mi manda Picone”. 1983, con Giancarlo Giannini, “Cafè express”, 1980, con Manfredi, “Sistemo l’America e torno”, 1974, con Paolo Villaggio, “A che punto è la notte”, 1994, miniserie televisiva tratta da un romanzo di Fruttero e Lucentini. Sferzante satira della tivù è “Signore e signori, buonanotte”, 1976, film collettivo diretto insieme a Mario Monicelli, Ettore Scola ed altre firme del cinema italiano. Nanni Loy era un regista, un attore e anche un uomo impegnato.

Alla fine degli anni settanta, a Cagliari, una delle tante campagne elettorali, inviato speciale del partito comunista al mercato di San Benedetto. Discute con la gente, con chi vende il pesce e la frutta. Scherza, qualche battuta in sardo, poi in romanesco. E resta il dubbio, avrà filmato tutto? Un altro “Specchio segreto”? Chissà. Nanni Loy è morto 25 anni fa, il 21 agosto 1995, a 69 anni, stroncato da un infarto mentre trascorreva le vacanze nella casa dell’amico e collega Gillo Pontecorvo, a Fregene. È morto vicino al mare, lo stesso mare dove 13 anni prima si era spento un altro grande uomo di cinema, lo sceneggiatore Franco Solinas, cagliaritano cresciuto a La Maddalena. Proprio a La Maddalena, per la prima edizione del Premio Solinas, metà anni ottanta, ho incontrato nuovamente Nanni Loy. Con quella faccia un po’ così, un misto di aristocratico distacco e d’ironico commento. Gli ho consegnato “L’Unione Sarda” con l’intervista fatta a casa sua sul lungotevere. Ha aperto il giornale e si è messo subito a leggere. Probabilmente gli interessavano più i racconti della sua giovinezza, quando faceva le nuotate nella spiaggia del Poetto. Ma avrà dato una bella occhiata anche al racconto della sua vasta filmografia e alle gag di specchio segreto. Soddisfatto, poi si e seduto al bar, dove c’erano ad attenderlo Francesco Rosi, Carla Gravina, Lea Massari, Costa Gavras e Francesca Solinas, la figlia di Franco, il loro carissimo collega e amico, morto troppo presto. Poi è arrivato anche Gian Maria Volonté: è stato lui a volere che il premio di sceneggiatura dedicato a Franco Solinas si tenesse a La Maddalena. E nell’isola viveva per lunghi periodi, facendo anche l’istruttore di vela.

Volonté é sepolto a La Maddalena, di fronte al mare che amava, di una bellezza che toglie il fiato. C’è da immaginarlo con la sua barca a vela nel giro delle isole che fronteggiano l’arcipelago francese della Corsica. Ma in testa aveva il suo mestiere e anche le idee chiare sulle scelte che bisogna fare. Famoso un suo discorso forte del 1984: «Cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita». 

Un’arte impegnata, dunque, che faccia crescere la società, la solidarietà, l’uguaglianza. E in un programma come questo riconosciamo anche la filmografia di Nanni Loy, cominciare da “Le quattro giornate di Napoli”, quando la città insorse e si liberò dei tedeschi con la partecipazione di gran parte degli abitanti. Un altro film di impegno civile è “Detenuto in attesa di giudizio”, con un Alberto Sordi capace di una grande interpretazione drammatica. Insomma Nanni Loy cercava i problemi vivi dell’Italia e li trasformava in film di grande livello, raccontando il Paese, la gente, anche nelle commedie. E facendo spesso scattare la risata che aveva come sottofondo il dramma. E per lui era importantissimo il giudizio del pubblico: «Il collaudo del pubblico, la severità del pubblico, e magari anche la sua grossolanità, nel nostro mestiere sono indispensabili, un esame da superare, in un certo senso, perché altrimenti l'industria cinematografica non riesce a sopravvivere».

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