Sa piscadura: nel Goceano il bollito per palati forti
Era preparata in origine con ossa, lardo e cartilagini del maiale accompagnate da verdure, oggi la ricetta prevede anche salsiccia e costoline
Sa piscadura, il bollito da pescare. È un piatto antico tipico del mondo agro-pastorale ma è anche una pietanza dal sapore forte di una zona specifica della Sardegna, più precisamente di Bono, Bultei e dintorni del Goceano. Era originariamente una pietanza invernale, preparata con tutte le porzioni di carne che avanzavano nelle famiglie, che, generalmente a dicembre, usavano macellare il maiale per produrre insaccati a livello domestico. Oggi, invece, si prepara per carnevale, al giovedì grasso. Prepararlo tra febbraio e marzo è diventato un appuntamento da non mancare, una tradizione.
Un piatto caldo per palati e stomaci forti, questo è sa piscadura alla quale viene aggiunto tutto ciò che rimane di meno nobile nell’animale: orecchie, muso, parti della testa o di grasso e anche le ossa o le zampe. Tutto rigorosamente messo sotto sale per sette giorni con l’obbiettivo di far acquistare più sapore alla carne. Anche questa è un’usanza antica che deriva dai tempi in cui i frigoriferi non esistevano e la carne andava conservata con i metodi naturali per durare più a lungo.
Il giorno scelto per la sua preparazione la carne viene messa a bollire, dicono gli stessi bonesi, insieme alle verdure di stagione. Ceci e fave, patate con buccia o tagliate a metà, verza, cipolle, fagioli o ceci, bietole o anche s’ermulata (l’armoracia), pianta selvatica da contorno diffusa nelle campagne del centro Sardegna. Abbinamento che può cambiare se si pensa a sa piscadura come a un piatto da poter preparare anche nei mesi più caldi dell’anno. Regole precise di cottura non ce ne sono. Anche se gli esperti della cucina stimano tra i 15 e i 20 minuti di preparazione, in realtà dentro il pentolone pieno d’acqua messo a bollire accade tutto “a sentimento”, vale per le tempistiche così come per le quantità di sale. Una volta cotta, la pietanza va poi letteralmente pescata dal pentolone con un mestolo (da questa particolare pratica deriverebbe il nome del piatto) e adagiata su un letto di pane carasau bagnato nel brodo prodotto dalla carne stessa. A Bono il carasau è su pane ‘e fresa. Generalmente, piccole porzioni di carne e verdure vengono arrotolate all’interno del pane come a creare un involtino umido. Il piatto è povero, contadino e pastorale. Un piatto per le feste familiari ma anche comunitarie, sinonimo di connessione. Un sapore semplice e antico che svolge anche una funzione sociale e che riporta ad altri momenti conviviali tipici dell’isola come accade a gennaio con sa fava e lardu (le fave con il lardo) e i fuochi di Sant’Antonio.
Ma questa particolare preparazione ha raggiunto anche i palati più fini, seppur con qualche modifica negli ingredienti. Oggi, infatti, c’è chi a vantaggio del gusto snatura in parte sa piscadura sostituendo ossa e cartilagini con salsiccia e costoline.