La Nuova Sardegna

buongusto
Il Carnevale a tavola

La cavolata, un piatto povero diventato re delle feste

di Carolina Bastiani
La cavolata, un piatto povero diventato re delle feste

La ricetta di Antonello Pirina con carne di maiale, verza, patate e finocchietto

3 MINUTI DI LETTURA





Non solo dolci fritti come frisjioli e acciuleddi. Il Carnevale in Gallura è scandito anche dal consumo a tavola di piatti tradizionali salati. È questo il caso della caulata di Olbia, una delle classiche ricette di casa, al cui interno sono racchiusi i sapori della cucina povera di un tempo, quando non si buttava via niente. Come ogni tradizione che si rispetti, però, esistono diverse varianti locali e persino famigliari, che nel tempo hanno combinato ingredienti appartenenti anche ad altre ricette tipiche. Quel che è certo è che si tratta di un piatto strettamente legato al Carnevale e, prima ancora, a uno degli eventi che per generazioni, durante l’autunno e l’inverno, ha riunito intere famiglie nei loro cortili: l’ammazzatojju di lu polcu. In molte case, infatti, la “cavolata” si serve sia a febbraio sia in occasione della festività dei morti, a novembre, quando, appunto, era consuetudine uccidere il maiale. E così, la sua carne e tutte le sue parti venivano destinate a diverse pietanze. Nel caso della “cavolata” sono poi accompagnate dai prodotti della terra, primo tra tutti il cavolo verza. Antonello Pirina, titolare del “Pink bar e trattoria” in via Mestre a Olbia, nel quartiere di Poltu Cuadu dove da anni propone un menù casereccio di terra e di mare, racconta qual è la sua versione.

Insieme a lui, la storica cuoca Anna Abeltino, la regina della cucina, e la moglie Margherita. La carne ha già subito la prima fase della lavorazione ed è già saporita. «Prima di tutto va messa sotto sale e condita anche con olio e pepe. Noi – spiega Pirina – abbiamo la fortuna di avere il maiale nostrano». E quindi, accesi i fornelli, pentoloni molto grandi sono pronti per accogliere cinquanta chili di carne che andrà incontro, dopo l’eliminazione dell’eccesso di sale, alla bollitura in abbondante acqua. «Si inizia con le parti più saporite, come i piedi, le orecchie, la coda, la testa e le costine, che richiedono anche più tempo di cottura. In questa fase bisogna togliere la schiuma che la carne produce. In un secondo momento si aggiunge anche la polpa del maiale». E poi, largo spazio ai condimenti, quelli che provengono dalla terra. «Si mette il cavolo verza tritato, la cipolla tritata e il finocchietto tritato – spiega Pirina – Noi solitamente facciamo un brodo molto lungo, perché poi verrà suddiviso e ulteriormente arricchito. In uno dei pentoloni, per esempio, si prepara la versione con le fave secche». E qui si apre una lunga strada lastricata di varianti, preferenze e, a volte, battibecchi. E così, mentre alcuni scelgono la versione senza fave, altri mettono i ceci, altri ancora aggiungono anche le castagne secche, che danno al brodo un sapore più dolciastro. In altri casi, viene aggiunto pure il lardo – nella versione della trattoria Pink ne è previsto un po’ –, mentre qualcuno la mangia insieme alla salsiccia. In ogni caso, una volta pronto, è meglio lasciarla a riposo, così che gli ingredienti sprigionino tutto il loro sapore. E infine l’impiattamento. «Noi – conclude Antonello Pirina – serviamo tutto in un piatto unico: insieme alla carne e al cavolo, mettiamo le patate bollite e, per dare freschezza, un pizzico in più di finocchietto selvatico».

Primo piano
L'inchiesta

«Anziani vessati e minacciati» nella casa di riposo di Sorso, il pm chiede 9 rinvii a giudizio

di Luca Fiori
Le nostre iniziative