La Nuova Sardegna

L’intervista

Max Giusti: «Faccio ridere senza offendere: si può. Sardegna mia arrivo, e forza Casteddu»

di Alessandro Pirina
Max Giusti: «Faccio ridere senza offendere: si può. Sardegna mia arrivo, e forza Casteddu»

L’attore romano ma con mamma sarda di Norbello tra una settimana a Cagliari e Sassari: «Per me è un sogno che si realizza»

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L’estate scorsa, alla vigilia di uno spettacolo a Golfo Aranci, in una intervista alla Nuova espresse il desiderio di portare il suo show a Cagliari e Sassari. Eccolo subito accontentato. Max Giusti, uno degli artisti più poliedrici dello spettacolo, sardo di Norbello per parte di madre, arriva nell’isola per una due giorni firmata dall’associazione Il leone e le cornucopie, con Tiziana Biscu presidente e Fabio Alescio direttore artistico. L’artista romano porterà le sue “Bollicine” venerdì 25 aprile all’Auditorium del Conservatorio di Cagliari e sabato 26 al Teatro Comunale di Sassari.

Giusti, Cagliari e Sassari come sperava...

«Per me è un sogno. A Cagliari ero stato solo una volta da ragazzino, a Sassari mi ero esibito più di 10 anni fa. Nella regione di mio padre, le Marche, ho fatto una marea di spettacoli, in quella di mia madre, la Sardegna, molti di meno. Ma in questi ultimi anni sto riuscendo più spesso a farmi vedere e apprezzare».

In Sardegna gioca in casa.

«L’altro giorno sono atterrato a Milano e ho incrociato i tifosi del Cagliari che avevano vinto la Coppa Italia Primavera. “Forza Casteddu”, ho detto. Sono rimasti a bocca aperta».

Da bambino cosa sognava?

«Non c’è una definizione vera, perché il mio sognare continua tutt’oggi. Il mio più grande pregio - e forse anche il più grande difetto - è che sono un sognatore. Non mi sono precluso niente, non mi sono dato limiti. In fondo, quello che volevo fare era essere un buon cittadino, una persona perbene e potermi specchiare tutte le mattine. Più di stare su un palcoscenico. Pensare alle cose che ho fatto, a quest’ultima annata mi obbliga a fermarmi per vedere quello che sto facendo e apprezzarmi. Chi se lo immaginava da bambino: se questo doveva essere un sogno siamo nel cuore del sogno».

Il suo primo palcoscenico?

«Alfellini, cabaret romano di Ostiense: avevo 16 anni».

Stasera mi butto: palestra di attori, comici e imitatori.

«Ne siamo usciti fuori tanti, ma in pochi abbiamo capito che imitazione era un termine che ti poteva fregare. Se togli l’apostrofo l’imitazione diventa limite. Non mi piaceva essere uno che fa le voci di un altro, è una cosa un po’ incompiuta. Ho fatto un lavoro molto duro, un percorso di crescita che mi ha portato dove sono ora. La parodia di Cannavacciuolo non è la sua imitazione, ma la messa alla berlina di quelli che vanno da lui per farsi dire che cucinano bene e vengono trattati male».

L’imitazione più riuscita?

«Quelle della prima fase. Da ragazzino Abatantuono lo facevo veramente uguale. Anche Vasco e Ligabue erano fighi. Ma se devo pensare alla magia dico la prima volta che mi sono rivisto vestito da De Laurentiis. Ma anche Borghese, Pardo, Mastella: hanno tutti anime diverse».

C’è stata una imitazione meno riuscita?

«Come no? Cofferati. Invece, una che mi è piaciuta tanto in anni delicati era Stefano Ricucci, ma veniva fatta in un programma della domenica pomeriggio, Quelli che il calcio, e certi temi non si potevano toccare».

Il parodiato più permaloso?

«Non lo dirò mai».

E il più sportivo?

«Pardo, Borghese. Quando è in buona anche Malgioglio».

Che grazie alla sua parodia è diventato ancora più famoso.

«Questo l’ha detto lei. Ma in un momento della carriera essere oggetto di una parodia può essere una svolta. L’unico limite che mi do è tenere separati i percorsi della mia parodia e della vita reale dei personaggi. Da una parte non voglio mancare di rispetto, dall’altro non voglio fare il loro altoparlante».

In tv ha affiancato tutti i più grandi: Raffaella Carrà.

«L’educazione, la professionalità, il piacere di parlarci, di avere consigli. Sia con lei che con Lucio Dalla ho il rammarico di non avere fatto più strada assieme. Quando ho iniziato a essere un artista più strutturato ho perso l’opportunità di lavorare con loro perché se ne sono andati».

Con Fabrizio Frizzi avete fatto coppia fissa.

«Ci sono parole che quando vengono dette di un professionista possono essere fraintese. Fabrizio era un grandissimo conduttore, e di fianco aveva questa tessera di persona perbene. Ci sono persone che svendono questo aspetto, io lo centellino».

È stato il re dei pacchi di Affari tuoi: come se la cava Stefano De Martino?

«Bravo, molto intelligente. Impara giorno dopo giorno, puntata dopo puntata. È sia un ottimo conduttore che un ottimo padrone di casa. Parte da una grande base che è l’educazione. Quando vai nei suoi programmi è sempre il primo a dirti buongiorno».

Con la Gialappa ha ripreso a fare le imitazioni.

«Mortacci loro, avevo smesso di fare le parodie. Mi ero stancato di passare ore al trucco. Li detesto per questo motivo: quando finiamo Gialappa’s Night ci vuole quasi un’ora per togliermi il trucco e quando finisco se ne sono andati tutti. Mi abbandonano nel boschetto di Rogoredo fuori dagli studi di Sky».

Il Marchese del grillo a teatro. Ha mai incontrato Sordi?

«Purtroppo no. Fare il Marchese è stata una delle cose più belle della mia carriera. Tutti avevano paura di farlo, di andare a toccare il mostro sacro. Io sapevo di poterlo fare bene, non lo dicevo per non passare da presuntuoso. Ma non volevo fare la sua imitazione, la sua macchietta. Ho iniziato a lavorarci, giorno dopo giorno mi rendevo conto che mi avvicinavo sempre di più a lui. Io sono cresciuto con i personaggi dei suoi film, ma fino ad allora non mi ero reso conto di quanto Sordi ci fosse dentro di me».

Con Bollicine fa ridere senza ricorrere al politicamente scorretto.

«Io in scena posso dire tutto, venite a Cagliari e Sassari a vederlo. Se pretendi di dirlo come 40 anni fa sei un cretino, difendi il diritto di insultare. Oggi è più difficile fare ridere, il mio Cannavacciuolo lo vedi in tv, ma anche su Youtube, Facebook, Instagram, Tik tok. Per fare ridere di più devi alzare l’asticella, essere più bravo, ma senza offendere una minoranza. Se hai bisogno di quello il problema non è il politically correct ma sei tu. Bisogna scrivere pensando che siamo nel 2025, non negli anni ’80»

Tv, teatro, cinema: cosa manca alla sua carriera?

«Le vacanze!!! Aspettatemi in Sardegna e poi non torno più in continente».

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