La Nuova Sardegna

Economia

Ecco i costi sociali della moda. E cosa c’è dietro il fenomeno dei resi online gratuiti

di Althea Lia Mathews*
Ecco i costi sociali della moda. E cosa c’è dietro il fenomeno dei resi online gratuiti

In alcuni Paesi il settore tessile si avvale del lavoro sottopagato di ragazzi e bambini

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In un mondo sempre più veloce, in cui una corsa forsennata verso nuovi stimoli di consumo sembra essere la forza motrice di ogni aspetto delle nostre vite, la fast fashion (“moda veloce”) ci appare l’ennesima manifestazione evidente della cieca fame di possesso che ogni giorno ci spinge a comprare, comprare, comprare. E la convenienza, che spesso ci influenza nei nostri acquisti, nasconde un lato oscuro.

Ma il prezzo è davvero sempre quello che ci mostra lo scontrino? E chi lo paga, veramente?

L’industria tessile rappresenta, a livello globale, la terza fonte di degrado delle risorse idriche e del suolo, responsabile di circa un quinto dell’inquinamento dell’acqua potabile, una risorsa sempre più preziosa. E a fronte di tutto ciò, circa un quarto dei vestiti invenduti ogni anno viene gettato via, fenomeno sempre più accentuato dal circolo vizioso della moda e dalle tendenze più “in” del momento.

E non è solamente una questione ambientale: sulla base dei dati raccolti, a prezzi bassissimi corrispondono costi sociali elevatissimi, che pagano i lavoratori e le lavoratrici (tra cui bambini) lungo la filiera nei Paesi meno industrializzati. Le condizioni di lavoro in alcuni Paesi, ad esempio, sono disumane: operai senza protezione, spesso a piedi scalzi, lavorano immersi in liquidi tossici. I processi di lavorazione, che includono l'uso di polvere di calcio e solfiti di sodio, sono estremamente dannosi per la salute e molti di questi lavoratori non superano i 50 anni di età a causa delle esalazioni. Tutto ciò per una gonna di pelle, magari, che verrà scartata nel giro di poche settimane.

In alcuni Paesi nelle fabbriche tessili lavorano tantissimi ragazzi, bambini e bambine, con turni estenuanti per una paga di 4 euro al giorno. I bambini sono una risorsa per queste aziende, perché hanno mani piccole e precise e vengono retribuiti con salari irrisori, crescendo esposti a sostanze nocive come il mastice, che alcuni di loro utilizzano come droga per gestire fame e fatica e che causa danni irreversibili al cervello. Ne vale davvero la pena, solo per un paio di jeans all’ultima moda?

Per non parlare poi del fenomeno dei resi online gratuiti, che secondo Greenpeace fanno sì che non solo i pacchi restituiti percorrano migliaia di chilometri per tornare alla fabbrica d’origine, ma nel 58% dei casi non vengano nemmeno rivenduti, gettati via in discariche spesso mal gestite o addirittura illegali.

La prossima volta che vi recate in un negozio, guardatevi attorno e ponetevi questa domanda: quanto costano davvero questi indumenti? Rallentate, pensate a quei bambini, al loro futuro. Iniziamo da noi, dalle nostre scelte. E magari la prossima volta che una pubblicità o il commento di un vostro amico vi fa venir voglia dell’ennesimo nuovo capo, di cui probabilmente non avete realmente bisogno o che non indosserete mai, rifiutatevi di uniformarvi ad un’industria superficiale che sfrutta vite umane per soddisfare i capricci di pochi privilegiati. Ritrovate l’unicità di uno stile vostro, che non debba necessariamente seguire la tendenza, ma che appartenga a voi. Non le ultime scarpe di grido, ma una sciarpa colorata fatta a mano, o ricevuta in dono da una persona cara. O trovata per caso ad un mercatino di seconda mano. O scambiata. Un indumento vissuto, che porta le storie delle persone che ha incontrato e le intreccia con la vostra.

Riappropriatevi delle vostre scelte. Perché è la cosa più potente e rivoluzionaria che possiate fare.

* Studentessa del Liceo XXV Aprile di Pontedera
 

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