Il triste record di Mamone primo per reclusi stranieri
NUORO. Le colonie penali sarde? L’ideale per far lavorare i detenuti marocchini, tunisini e rumeni. Almeno secondo il Dap. Che, a fronte di una media nazionale di 36 detenuti non italiani ogni cento...
NUORO. Le colonie penali sarde? L’ideale per far lavorare i detenuti marocchini, tunisini e rumeni. Almeno secondo il Dap. Che, a fronte di una media nazionale di 36 detenuti non italiani ogni cento ospitati nei 206 istituti della Penisola, ha ben pensato di mandarne 88 a Mamone (prima in Italia) e 76 a Is Arenas (seconda).
«Peccato – attacca Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo diritti riforme – che i soldi per il finanziamento delle attività lavorative straordinarie e comuni sono insufficienti e la maggioranza dei ristretti è costretta a rimanere per lungo tempo inattiva nei cameroni. Gli stranieri vengono mandati qui perché teoricamente dovrebbero essere in corso programmi di valorizzazione delle produzioni agricole. Che però in realtà non ci sono».
Risultato: la Sardegna finisce per pagare, come spesso le accade, una servitù penitenziaria, che scontenta proprio tutti. «Una così massiccia presenza di stranieri – rileva la presidente di Sdr – è un ulteriore segnale inequivocabile di come il Dipartimento non rispetti il principio della territorialità della pena. La maggior parte dei cittadini comunitari ed extracomunitari vengono trasferiti dal Continente, principalmente dall’Italia settentrionale dove spesso risiedono familiari o dove hanno creato relazioni sociali con conterranei». Ma non basta: «La netta superiorità numerica di cittadini prevalentemente islamici – attacca Caligaris – genera anche reciproca insofferenza al punto che alcuni detenuti sardi rinunciano alla colonia penale. A determinare il più profondo malessere è però la scarsità dell’attività. A parte alcune borse-lavoro infatti la cassa delle ammende è praticamente vuota e quindi è stato necessario attivare le turnazioni con lunghi periodi di inattività che generano ancora più profondi malesseri e tensioni». (g.bua)