La Nuova Sardegna

Nuoro

Cinquant’anni di sogni e chimere l’abbaglio della grande industria

di Federico Sedda
Cinquant’anni di sogni e chimere l’abbaglio della grande industria

Mezzo secolo fa partirono i primi sbancamenti per dare un futuro alla Sardegna delle zone interne Dai 14mila posti previsti agli ultimi licenziamenti, dalla chimica Eni al colpo di grazia con la Polimeri

15 maggio 2020
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OTTANA. Era la fine degli anni Sessanta quando la Commissione presieduta dal senatore Medici, istituita dal Parlamento per analizzare i problemi del banditismo in Sardegna e, in particolare, nel Nuorese, propose la realizzazione nel centro dell’isola di un insediamento industriale: un polo chimico finanziato dallo Stato per dare corpo a un intervento sociale in grado di estirpare il malessere. Il dibattito tra le forze politiche e sociali, tra i fautori dell’industria e i contrari a quel tipo di sviluppo, fu aspro e combattuto. Alla fine prevalse l’idea dell’industria. I primi sbancamenti lungo le sponde del Tirso, tra Ottana, Bolotana e Noragugume, presero forma nei primi mesi del 1970, esattamente cinquanta anni fa.

Alla fine dello stesso anno partirono le prime lettere del Consorzio per l’addestramento professionale dei lavoratori per le iniziative industriali Eni nella valle del Tirso, con sede a San Donato Milanese, per chiamare i primi giovani, futuri operai, a frequentare i corsi di formazione a Ravenna, Pisticci e Porto Marghera.

Numeri da favola. Il numero degli occupati che venne prospettato nelle aziende che avrebbero dovuto insediarsi sulle sponde del Tirso era da capogiro. Nel 1972 il Consorzio di sviluppo della Sardegna centrale fornì un programma di investimenti corredato dalle seguenti cifre: 700 occupati nella Chimica del Tirso, 3.800 alla Fibra, 750 nella Metallurgica del Tirso dei fratelli Orsenigo, 5.000 nella Salcim-Brill di Nino Rovelli, patron della Sir, 150 nell’ Intersol e 2.500 nella Sartex, una fabbrica manifatturiera che avrebbe dovuto lavorare a bocca di fabbrica i prodotti della Chimica e fibra del Tirso.

Solo a Ottana erano previsti 14 mila posti di lavoro. Ma il sogno non finiva nella media valle del Tirso. «La scelta necessaria per rompere l’isolamento», come la Commissione Medici definì il progetto industriale, sarebbe andata oltre Ottana.

Con numeri ancora più eclatanti. Nell’agglomerato del Sologo avrebbe dovuto sorgere un secondo comparto della Siron di Nino Rovelli con 1.600 unità lavorative, altrettante assunzioni erano previste nella Siron del Sarcidano, 700 nella Tirsotex di Macomer e 162 nella Italmaster di Suni. Nella provincia di Nuoro, insomma, erano previsti 18.700 posti di lavoro.

La grande illusione. Un sogno che abbagliò la mente di tutti. Le cose, negli anni futuri, andarono, però, diversamente: i numeri, nel giro di qualche anno, si affievolirono ovunque. L’Anic prima, l’Eni chimica, l’Enichem e l’Enimont poi, per parlare solo di Ottana, non hanno mai superato i 2.700 dipendenti. Le altre iniziative sono tutte abortite prima di nascere. L’insediamento messo su da Rovelli non è mai stato completato. Bisognerà attendere i primi anni ‘90, con la fabbrica tessile del Gto del gruppo Legler, per insediare un’attività nel cimitero industriale lasciato dall’ingegnere milanese. Ma anche lo stabilimento tessile ha avuto vita breve.

Carcasse e catorci. Oggi, in quella fabbrica, ci sono solo rottami arrugginiti. Come nella Metallurgica del Tirso che diede lavoro a 450 lavoratori. Nel 1994 ha chiuso definitivamente i battenti, dopo essere passata nelle mani della Gepi e avere cambiato nome tre volte per tentare il rilancio. Sulla sponda sinistra del Tirso, il polo chimico cominciò a produrre nel 1973. Nel frattempo nacque anche il primo nucleo sindacale. Nel maggio dello stesso anno venne costituito il primo consiglio di fabbrica da dove partì un processo di maturazione politica e sindacale che coinvolse tutto il territorio.

Nel panorama del dissesto non tutto era da buttare via: la cultura industriale, pur provocando disagi e storture, dovute all’immissione di un corpo estraneo in un tessuto socio-economico prevalentemente agricolo e pastorale, ha portato benefici. La vita di fabbrica, le esperienze delle lotte sindacali, il contatto con persone provenienti da luoghi diversi, hanno maturato la gente. I paesi hanno acquistato dinamismo, vivacità sociale ed economica. Nella rude e rurale Sardegna centrale c’è stata una maturazione politica e culturale impensabile fino ad allora.

La presa di coscienza. Un esempio significativo sono state le decine di lavoratori dell’Anic fibre, della Metalmeccanica del Tirso, della Tirsotex che sedettero allora sui banchi dei consigli comunali dei rispettivi paesi. Alcuni di loro sono stati sindaci e assessori. Ugualmente cresciuto anche l’indice di scolarizzazione: molti giovani hanno conseguito un diploma o una laurea con le buste paga dei genitori. Questo patrimonio politico e questa crescita culturale difficilmente potrà subire tagli o essere lasciata marcire. È l’unico capitolo che rimane integro.

Certo è che la crisi dell’industria ha interrotto questo processo iniziato negli anni Settanta. Nel 1994, quando il sito industriale venne visitato dalla commissione Industria del Senato, l’organico era costituito da 1.250 lavoratori. I processi di razionalizzazione, di ristrutturazione produttiva e di risanamento economico avevano cominciato ad assottigliare gli organici e a creare i cosiddetti esuberi. Il primo accordo, nel 1984, ridusse l’organico a 600 unità. Con il secondo accordo, nel 1992, oltre 200 lavoratori vennero collocati in prepensionamento e in mobilità. Intanto, in seguito agli accordi sindacali, in quegli anni, all’interno dello stabilimento nacquero due iniziative per assorbire gli esuberi: il Minitow, 20 addetti per produrre feltri per pennarelli e la Lorica con 20 dipendenti per produrre pelle sintetica.

Gli ultimi bagliori. Il Minitow ha chiuso nel 2008, la Lorica, dopo un periodo di splendore durato fino al 2007, è stata dichiarata fallita. Nel 1996, l’Enichem diede il via al processo di dismissioni, che nel giro di qualche anno l’avrebbe portata a scomparire del tutto da Ottana.

Lo stesso anno, la multinazionale americana Dow Chemical acquistò dall’Enichem la controllata Inca International, successivamente Equipolymers e, con essa, la produzione di polimero rigradato e del pet (plastica per bottiglie). Sempre nel 1996, l’impianto acrilico venne conferito alla Landa, società controllata dall’Enichem.

Chiusure a raffica. Qualche anno dopo, lo stesso ramo d’azienda venne venduto alla Montefibre del gruppo Orlandi. Tra alti e bassi, cassa integrazione e mobilità, la Montefibre chiuse i battenti nel 2003, lasciando sulla strada 450 lavoratori. L’impianto di depurazione venne, invece, acquisito dalla società mista Saces, mentre la Lorica venne venduta al gruppo tedesco Aru. Nel dicembre del 1997, venne firmato l’accordo per la chiusura degli impianti di produzione del fiocco poliestere.

Futuro prossimo. Sono gli anni in cui finisce il vecchio e si cerca di disegnare un nuovo futuro produttivo con il Contratto d’area che porterà nel centro Sardegna un fiume di danaro pubblico finito nelle tasche di imprenditori senza scrupoli. Intanto l’Enichem continua le dismissioni. Nel 2001, la centrale termoelettrica venne venduta al gruppo angloamericano Aes che rimase a Ottana fino al 2005, quando cominciò l’era del gruppo Clivati. Nel 2002 l’Enichem cedette i servizi generali alla Nuoro Servizi, società delle coop emiliane in liquidazione. Il resto è storia recente, vissuta da poco più di 200 lavoratori. Il colpo di grazia all’industria è stato dato da Ottana Polimeri (gruppo Clivati-Indorama) e Ottana Energia: impianti chiusi e operai licenziati tra il 2015 e il 2016. La fine del sogno industriale e l’inizio dell’incubo delle bonifiche mai fatte.

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