La Nuova Sardegna

Olbia

La storia

Con il progetto My own way Claudia e Alessandro raccontano i loro viaggi

di Carolina Bastiani
Con il progetto My own way Claudia e Alessandro raccontano i loro viaggi

Tra strade, fotografie e rivoluzioni, i mondi lontani diventano un brand

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Olbia Quest’anno hanno scelto i luoghi della rivoluzione cubana. Ma anche quelli di una società più consumistica, quella messicana. Dopo due mesi nella parte più orientale di Cuba, la più povera, con le strade peggiori, ma anche la più rivoluzionaria, colta e umanamente ricca, si sono spostati in Chiapas, in Messico appunto, con i suoi potenti pick up e le sue porzioni di cibo doppie e persino triple rispetto a quelle europee. Il racconto è quello di Claudia Scugugia e Alessandro Lintas, originari rispettivamente di Olbia e Padru, che ogni anno lasciano la Gallura per qualche mese, alla scoperta del mondo. I loro viaggi lenti, spesso lontani dalle mete inflazionate del turismo di massa, hanno l’obiettivo di capire davvero i luoghi e le persone che incontrano. Una ricerca nata dal “voler andare altrove, dal vedere altro” che ha plasmato My own way, “la propria strada”, ma anche “a modo mio”, a volerlo tradurre, il loro progetto di vita e piccolo brand, con cui raccontano il mondo attraverso fotografie e oggettistica artigianale che vendono in estate al mercato di via Principe Umberto.

My own way «Il progetto – racconta Claudia – ha 12 anni. Ho iniziato da sola. Ho capito che dovevo cercare un modo per viaggiare almeno cinque mesi l’anno durante il mio secondo viaggio tra India, Nepal e Tibet». Tra gli stimoli più grandi, l’esperienza di un suo insegnante di fotografia analogica all’Lcc di Londra. «Mi ha aperto un mondo. Dall’Inghilterra era arrivato fino a Yerevan, in Armenia, con una vecchia Diana». Lavoratrice dipendente per anni in un negozio e in libreria, Claudia ha poi deciso di concentrarsi solo su My own way e ha iniziato vendendo fotografie di viaggio della Sardegna. «E dopo tre anni è arrivato Ale. Con lui e il suo punto di vista il progetto si è evoluto e con le fotografie abbiamo iniziato a fare serigrafie e grafiche che parlassero delle cose in cui crediamo. Molte, per esempio, parlano di femminismo e diritti Lgbt». Ma anche di uguaglianza e di confini aperti. L’ispirazione è, dunque, la contemporaneità. «Le grafiche cambiano ogni anno. Andiamo sempre in posti diversi. Siamo circondati da stimoli e scritte sui muri, da ciò che viene dalle persone normali che hanno bisogno di scrivere. I muri di solito non mentono mai. Parlano di un disagio che in fondo ci accomuna in tutte le parti del mondo». Un disagio che spesso partecipano direttamente sul posto, come quando, nel marzo dello scorso anno, a Buenos Aires, hanno preso parte alla manifestazione in ricordo delle vittime del colpo di stato del 1976.

Sulla strada India, Bangladesh, Bolivia, ex Unione Sovietica. All’interno di uno stesso paese non prendono mai l’aereo, si muovono usando i mezzi pubblici, alla ricerca della straordinaria normalità. «È un modo di viaggiare diverso da quello a cui siamo abituati e che ci porta solo nei posti più belli in assoluto – continua Claudia –. Eppure, in realtà, il mondo è fatto anche di posti normalissimi, di posti che spesso non hanno niente di bello, ma che meritano comunque di essere visti». Posti lontani dal turismo di massa, appunto, che spesso spettacolarizza tutto, rendendolo finto e omologato. Posti in cui Claudia e Alessandro cercano sempre di apprendere qualcosa di nuovo. «In India, nella comunità tibetana, abbiamo imparato a fare la carta riciclata, mentre nel deserto del Kutch a stampare con la tecnica del block print. In Argentina, invece, lo stile artistico del fileteado porteño. Di solito restiamo un mese solo per i corsi». Vanno spesso anche a Londra, dove Claudia ha vissuto per sette anni, per stampare in letterpress. Attualmente sono in Messico. Qui, seguendo proprio le scritte sui muri, hanno trovato un collettivo di attivisti che usano principalmente la tecnica dell’intaglio. In Messico resteranno per altri due mesi per poi tornare a Olbia a lavorare.

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