La Nuova Sardegna

Oristano

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Problemi psichiatrici all’origine dell’assassinio della figlia 13enne

di Enrico Carta
Problemi psichiatrici all’origine dell’assassinio della figlia 13enne

Il disperato tentativo di fuga della ragazzina prima di essere colpita alla schiena dalla madre

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Oristano Le ha dato la vita tredici anni fa, gliel’ha tolta ieri con una decina di coltellate. Chiara Carta e il suo futuro non ci sono più, cancellati dalla furia della madre e dalla lama che le ha martoriato il corpo mentre tentava di sfuggire alla fine che Monica Vinci aveva deciso per lei. La donna 52 anni, originaria di Genuri e un ricovero per problemi psichici alle spalle, è accusata di omicidio volontario. Da ieri è ricoverata e piantonata dalle forze dell’ordine all’ospedale Santissima Annunziata di Sassari, perché, dopo aver ucciso la figlia, ha tentato il suicidio lanciandosi da una finestra al primo piano della casa di Silì, frazione di Oristano, dove madre e figlia abitavano da sole. Il padre Piero Carta, sottufficiale della polizia locale di Oristano, si era infatti separato dall’ex moglie qualche anno fa ed era andato a vivere da solo. L’aveva fatto perché la vita insieme non era più possibile lì, al numero 61 di via Martiri del Risorgimento, in quella che ora vien difficile chiamare casa. Dopo l’omicidio somigliava molto di più a una succursale dell’inferno, dove la violenza è esplosa attorno all’ora di pranzo. Verso le 2 del pomeriggio, forse, è accaduto qualcosa che scatenato la violenza della donna contro la figlia. Erano sole e, da fuori, nessuno ha avvertito qualcosa di insolito o comunque di diverso rispetto a una quotidianità che, racconta qualche vicino, non sempre era fatta di giornate che scorrevano via serene. Poi, qualcuno ha sentito un rumore strano e si è affacciato per strada. In terra, sull’asfalto, ha visto un corpo e ha capito subito che era quello di Monica Vinci. Alcune vicine di casa sono immediatamente accorse e hanno controllato che la donna fosse viva e alzando lo sguardo hanno capito che si era lanciata dal primo piano dove la finestra era ancora aperta. Le hanno anche chiesto dove fosse Chiara, ma sua madre non rispondeva o farfugliava qualcosa di incomprensibile o ancora pronunciava frasi sconnesse. A quel punto hanno suonato il campanello e provato a chiamare la figlia anche a voce. Niente. Solo silenzio. Qualche attimo ancora e la cosa più ovvia da fare è stata quella di avvertire il padre.

Piero Carta è arrivato lì e probabilmente, nella sua testa, aveva già più volte provato ad allontanare quel timore che si era inevitabilmente affacciato non appena è stato contattato. Era un incubo da allontanare, ma pochi minuti più tardi, col telefonino davanti e la chiamata alla figlia che squillava a vuoto, ha deciso di forzare la porta di casa. Quella paura scacciata via perché non era tra gli eventi da prendere in considerazione, è diventata invece qualcosa di reale. Qualcosa di vero come il sangue di Chiara. Tracce sparse in tante stanze del piano terra della casa, l’ultima il bagno. La ragazzina era lì, sul pavimento, inerme. Non più un fiato perché l’ultimo respiro se l’era riservato per la fuga che non è riuscita a concludere, colpita più volte, probabilmente anche alla schiena, dalla madre che, secondo le prime ricostruzioni, impugnava un coltello da cucina. La vita di Chiara, coperta da una felpa da adolescente, era finita lì. Il padre ha chiesto l’intervento della polizia e immediatamente si sono dirette in via Martiri del Risorgimento le Volanti e le pattuglie della Squadra Mobile. Di ambulanze ne sono arrivate due, ma una sola è servita. È quella che ha trasportato Monica Vinci all’ospedale di Sassari, mentre l’altra è tornata indietro con i soli operatori del 118, perché il loro intervento non serviva più. Nemmeno i poliziotti inizialmente volevano credere a quel che sembrava, ma man mano che i minuti passavano i dubbi sono diventati certezze.

Gli investigatori coordinati dal dirigente Samuele Cabizzosu, hanno iniziato a ricostruire, pezzo per pezzo, il mosaico dell’orrore e, quando a Silì è arrivato il sostituto procuratore Valerio Bagattini, la gran parte delle tessere era già al loro posto grazie anche ai rilievi della Scientifica. Per come si presentava la casa e per come erano distribuite le tracce di sangue, tutto sarebbe avvenuto al primo piano. Dopo il primo fendente, la ragazzina ha provato a difendersi. Sicuramente ha provato a scappare, ma dietro di lei c’era una furia inarrestabile. Le tracce di sangue fanno pensare a un inseguimento e il fatto che Chiara Carta sia stata colpita anche alle spalle dimostrerebbe proprio questo. Se il dettaglio verrà confermato dall’autopsia affidata al medico legale Roberto Demontis, vorrà dire che la madre ha insistito sino alla fine. Forse sino al momento in cui si è accorta che la figlia non si muoveva più. È allora che ha scelto di fare le scale e di gettarsi in basso dalla finestra. Un volo di cinque metri sufficiente per procurarsi qualche trauma, ma non per compiere un suicidio. Per strada, per ore, sono rimasti quattro cartellini gialli fosforescenti a indicare la posizione del corpo di Monica Vinci prima che i soccorritori la caricassero sulla barella. In casa, invece chi è entrato aveva negli occhi il rosso, colore del sangue. E lì, davanti alla porta d’ingresso, prima che venisse portato in questura per raccogliere l’inevitabile deposizione, muoveva appena pochi passi un fantasma. Era Piero Carta che avvicinandosi a uno dei tanti colleghi della polizia locale arrivati a Silì ha sussurato: «Ma io, adesso, come faccio a vivere?»

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