Appello per la reggia degli Arborea: «Il restauro non distrugga la storia»
Lo firmano quattro studiosi e l’associazione Itinera romanica: sulla base delle loro ricerche sono convinti che sia possibile un ampio recupero del castello di Mariano ed Eleonora. Preoccupazione per lo spostamento della prefettura nello storico edificio
Oristano Dietro l’intonaco e le mura oggi visibili ci può essere il tesoro. E c’è chi spera che quel tesoro, ovvero il castello della casa regnante degli Arborea, non resti nascosto tra uffici di rappresentanza e scrivanie. Nei mesi scorsi, dopo l’annuncio del possibile trasferimento della prefettura nell’edificio di piazza Manno che tutti gli oristanesi e non solo loro hanno conosciuto come carcere, si erano susseguiti clamore, un po’ di fervente dibattito e qualche dichiarazione politica. Poi era calato il silenzio su questa storia e sulla storia, quella con la S maiuscola, che riguarda non solo Oristano, ma tutti i sardi. Insomma, il discorso sul futuro della vecchia reggia degli Arborea, sembrava esser svanito nel nulla.
La lettera Così pareva sino a pochi giorni fa, quando quattro firme di singoli cittadini e quella collettiva che raggruppa gli iscritti all’associazione “Itinera Romanica - Amici del romanico” hanno riacceso l’attenzione sullo storico edificio di piazza Manno, un tempo sede della più importante casata medievale dell’isola, quella dei giudici che accarezzarono e sfiorarono il sogno dell’unità e dell’indipendenza sarda. I quattro cittadini sono l’architetta Maura Falchi, autrice saggi di urbanistica storica della città di Oristano; la professoressa Maria Grazia Mele, storica e ricercatrice del CNR nonché autrice di numerosi saggi sulla reggia; l’architetto Gabriele Pettinau, illustratore e autore di diverse ricostruzioni storiche sull’argomento; il professore Giovanni Serreli, storico e ricercatore del CNR nonché docente di Istituzioni medievali e moderne all’università di Cagliari. Sono loro i nomi sulla lettera in cui si chiede un ribaltamento totale delle procedure, un cambio di prospettiva su come dovrebbe essere operato il restauro perché, a differenza di quel che si dice in giro, tra gli esperti c’è il convincimento che sotto le scarne mura di quello che poi diventò un carcere, ci siano ancora tantissime tracce della vecchia reggia. In poche parole, il tesoro architettonico, storico e identitario non sarebbe andato perduto per sempre.
Passato e futuro L’appello parte evidenziando proprio il prestigio che l’edificio merita «nell’ambito della storia cittadina, isolana, nazionale e internazionale». Questo valore gli deriva dal «rilievo della vita delle persone che l’abitarono e costruirono, nella fattispecie Eleonora d’Arborea, suo padre Mariano IV, il fratello Ugone III e Mariano II». Poi viene ricordato che si tratta di un unicum «nel panorama sardo, in quanto le altre residenze principali dei giudicati non si sono conservate». Da questa premessa deriva la «preoccupazione che le linee di un eventuale restauro siano improntate a un intento di mera conservazione dell’esistente, senza prendere in considerazione l’opportunità e la necessità di un chiaro obiettivo di riqualificazione identitaria o di messa in luce delle eccellenze storiche o artistiche, nel timore che una funzionalizzazione estranea al monumento possa condurre a una trasformazione eccessiva dello stesso».
Cosa cercare È sugli studi che hanno effettuato in passato che vengono gettate le fondamenta del discorso: «In base a due disegni degli architetti piemontesi Cominotti e Garovaglio, eseguiti all’inizio del XIX secolo, e al commento dell’esploratore francese Paul Valery, che nella stessa epoca, dopo aver visitato le rovine del palazzo, riferiva di una facciata di due piani caratterizzata da archi ogivali, si può formulare con senno un'ipotesi. L’ipotesi è che l'attuale scarna facciata neoclassica sia frutto di un rinforzo attuato in epoca piemontese per consolidare la precedente struttura muraria. Questo è a maggior ragione verosimile, considerando che la muratura esterna della facciata, esposta negli ultimi restauri, è di foggia simile a quella delle fortificazioni sabaude di quel periodo. Se questa ipotesi fosse valida, sarebbe possibile riesumare la facciata originale di cui ha scritto Valery. Ciò è suggellato dal fatto che la parete di un’area crollata dell’antico edificio, inglobata in un edificio di più recente costruzione, presenta una finestra con architrave decorata, della stessa tipologia di quelle del castello di Laconi e della cosiddetta torre aragonese di Ghilarza, che apparteneva al lessico architettonico in voga in Sardegna e in Catalogna durante il XIV secolo. Un altro dato a favore di questa ipotesi consiste nel sospetto che la Reggia, essendo un edificio istituzionale, voltato in due piani – rarità assoluta per la Sardegna di quell’epoca – dovesse avere una facciata almeno similmente ricca alle altre residenze arborensi sparse nel territorio».
Leggi e appello Viene poi indicata una serie di leggi che potrebbero essere la chiave di volta per un restauro che riporti alla luce i resti del vecchio castello degli Arborea. «Preso atto che l’attuale facciata neoclassica non è di particolare valore artistico, storico o architettonico, manifestiamo l’auspicio che si operi un restauro che valorizzi le stratificazioni relative all’epoca giudicale. Dalla sovrapposizione di più documenti catastali, compreso un rilievo di poco precedente alle demolizioni della Torre di San Filippo e della Port’a Mari, uno o più muri del castello, finora creduto scomparso, sovrappongono le stesse linee di una parte dell’attuale muro che divide il carcere ottocentesco da Piazza Manno». Un’indagine con tecniche attuali potrebbe quindi stabilire se una parte dell’antica reggia «sia ancora esistente ma soffocata dalle aggiunte successive, dentro lo stesso muro».
L’auspicio I firmatari concludono con «l’auspicio che la funzione che in futuro sarà ospitata all’interno del monumento sia adeguata al mantenimento della memoria storica e della spazialità originaria senza ignorare, ma anzi potenziando, la vocazione identitaria e che contribuisca a creare occasioni di sviluppo culturale». È l’architetto Gabriele Pettinau che aveva affrontato l’argomento del restauro della reggia nella tesi di laurea con relatori Paolo Margaritella e Stefan Tischer, a fare un passo ulteriore su un tema cui nella lettera non si fa esplicito riferimento: «Sono certo che anche all’interno è possibile recuperare parte dell’edificio originario. Ipotizzo anche che fu realizzato uno spazio simile al Salò de tinell di Barcellona, essendo stata quella la casa dei regnanti. Sarebbe bello resuscitare l’antica reggia e forse anche il castello. Si potrebbe persino ipotizzare un intervento di anastilosi. Quel che mi preme sottolineare è che le nostre tesi non sono fantasie, ma poggiano su studi approfonditi».