Lingua comune, scelta necessaria
Michel Contini*
Interviene lo studioso francese Michel Contini, componente della commissione per la Lsc: «Altrimenti non si salverebbe»
05 giugno 2007
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Ho avuto il piacere e l'onore di far pare della Commissione per la Lingua sarda e di contribuire alla nascita della Lsc. Si sa che il sardo ha una tradizione scritta fin dal Medio Evo e che, in questi ultimi decenni, ha conosciuto una importante produzione letteraria. E' anche vero però che la lingua esiste, ancora oggi, soprattutto nella sua oralità: anche se lo statuto di lingua non ne patisce, ciò la rende più vulnerabile di fronte all'italiano. Che il sardo manchi di visibilità è una realtà. Un bambino che utilizza la parlata del suo paese constata che il suo uso è limitato sempre più alla comunicazione familiare; che il sardo è assente nella scuola, nell'amministrazione, nei mass media; che non esiste un quotidiano, una radio, una televisione on un film in lingua sarda; che non appare nella segnaletica, nella pubblicità; sa anche che il suo sardo può essere diverso da quello di paesi vicini.
Ne concluderà che la sua è una lingua di seconda categoria, inadeguata a esprimere l'esperienza quotidiana. Sono d'accordo che si debbano incoraggiare prima di tutto i sardi a parlare la loro lingua, in tutte le situazioni; ma mi sembra anche urgente, per darle maggior prestigio, di promuoverne la scrittura a partire dalle parlate locali, come lo ha sempre sostenuto Maria Teresa Pinna Catte. Ciò renderebbe più accessibili le opere già pubblicate in cui gli autori utilizzano in genere la varietà che parlano, scelta che va apprezzata, sapendo che la diversità linguistica costituisce un patrimonio culturale da preservare: tengo a precisare che nessuno, nella Commissione, ha mai affermato che la Lsc doveva essere imposta a tutti gli scrittori di lingua sarda. Bisogna constatare però che, rispetto ad altre lingue di minoranza come il galego o il catalano, per esempio, che conoscono ugualmente numerose varietà (almeno 14 per la seconda) mancava alla lingua sarda una forma scritta comune. Per giungere a una Lsc due soluzioni erano possibili: scegliere una varietà già esistente o privilegiare una varietà «di compromesso». Fin dagli anni '80, avevo proposto di utilizzare la parlata di Nuoro per il sardo scritto: fui accusato di voler far parlare tutti i Sardi in nuorese, travisamento della verità che si ritrova oggi a proposito della Lsc.
In un articolo recente pubblicato sulla “Nuova Sardegna”, Giulio Angioni, membro della Commissione, criticando il sindaco di Mogoro che ha aperto un corso sulla Lsc per i suoi dipendenti, si chiede se questa sia «da usare oralmente e per iscritto?». Il punto interrogativo fa sorgere il dubbio che la Commissione avesse programmato di far parlare tutti i Sardi in questa lingua. Ma non lo ha mai fatto: se questo fosse stato l'obiettivo non ne avrei mai fatto parte. Sempre Angioni scrive: «So di sostenitori di una tale impresa, spacciata per patriottica e sardista, tanto che si vorrebbe che magari anche a Carloforte e a Tempio si insegnasse a scuola e si parlasse e scrivesse negli uffici il logudorese della Limba Sarda Comuna». Senza nominare nessuno, ma contribuendo alla confusione, l'autore lascia intravedere una possibile volontà della Commissione di imporre la Lsc alle aree delle altre varietà romanze dell'Isola (catalano, tabarchino-peglino, gallurese e sassarese) la cui autonomia linguistica non è più da dimostrare: neppure questa proposta è stata mai fatta. Vorrei anche dire al mio collega che non sento in me nessuna fibra «patriottica e sardista», che mi esprimo solo da linguista e che la mia azione in favore della Lsc non manifesta nessuna volontà egemonica «di risorgimental-monarchica-fascista memoria», formula che rivela soprattutto motivazioni politiche.
La Lsu della prima Commissione non era una lingua artificiale come sostennero molti: ho dimostrato in un articolo che il suo sistema ortografico corrispondeva, per l'essenziale, alla struttura fonetica della parlata di Noragugume. La Lsc, adottando certe soluzioni ortografiche corrispondenti alla pronuncia di un'area sarda meridionale compresa fra l'Ogliastra e la media e bassa valle del Tirso, e la possibilità di usare al plurale sia i due articoli sos/sas, sia l'articolo unico is del sardo meridionale, corrisponde, in definitiva alle parlate di Neoneli (con sos/sas) e di Samugheo (con is), molto vicine per altro a quelle di Busachi, Ula Tirso, Fordongianus e Allai. Niente esperanto isolano, come qualche erudito ha voluto affermare, ma varietà effettivamente esistenti. Fin dall'inizio si sapeva che la Lsc era destinata all'edizione bilingue dei documenti ufficiali della Regione: come immaginare la redazione di ogni testo in ciascuna delle numerose varietà del sardo che le inchieste geolinguistiche del Wagner, del Pellis, le mie personali e quelle di M.G. Cossu, hanno messo in evidenza? Penso però che dovrebbe essere adottata anche dalle Province, per ragioni evidenti. Quella di Oristano, per esempio, comporta regioni di sardo settentrionale (Planargia, parte del Monteferru, ecc.) e meridionale (Campidano di Oristano, Arborea, ecc...) e quella di Nuoro ingloba le parlate meridionali della Barbagia di Belvì. Si aggiungano le notevoli differenze linguistiche interne.
La Provincia di Nuoro dovrebbe tener conto delle varietà della stessa Barbagia, di quelle del Marghine, o delle parlate di Posada e Torpè, nell'area est-Logudoro. Stesso problema per l'Ogliastra: che forma scegliere, per esempio, per «olio», fra ogiu, olgiu, oxu e ollu, attestate tutte nelle parlate del suo territorio? Si pensi poi alle Province che dovranno anche pubblicare gli atti nelle altre varietà romanze. Quella di Sassari, in particolare, dovrà utilizzare, oltre al sardo - anche qui con diverse varietà interne - il sassarese, il gallurese e il catalano di Alghero. Si sente già dire, con accenti populisti, che l'adozione della Lsc implica nuovi finanziamenti regionali o che in Sardegna «ci sono altre cose più importanti da fare»: come se la difesa della lingua fosse roba da nulla. A me sembra, invece, che l'azione intrapresa per il recupero del sardo possa aprire nuove prospettive di lavoro e suscitare nuove vocazioni per migliaia di giovani, in tutta l'Isola. Bisogna sapere quali sono le ambizioni dei Sardi per la loro lingua.
Giulio Angioni insiste sul fatto che in Sardegna esiste una «quasi piena totalità di parlanti italiano e spesso monolingui», come conferma l'inchiesa socio-linguistica promossa dalla stessa Commissione. Dobbiamo capire che considera come inutile ogni tentativo di unificazione del sardo scritto e l'edizione bilingue degli atti pubblici? È un punto di vista: per i suoi difensori l'esistenza di un'Amministrazione, di una scuola, di una stampa, di un cinema, di una televisione, esclusivamente in italiano è sufficiente, e più economica. Il mio collega avrebbe dovuto difenderlo - ma non lo ha fatto - in seno alla Commissione. Ciò significherebbe accettare per il sardo un ruolo sempre più marginale e la sua ineluttabile regressione: a me sembra, al contrario, che non solo possa sopravvivere ma anche conoscere una nuova dinamica, soprattutto nei piccoli centri o in quelli di media importanza dove la percentuale dei sardofoni resta relativamente alta.
Anche il rapporto con la lingua nazionale può diventare meno conflittuale. Oggi che tutti i Sardi sono italofoni, l'ostilità nei riguardi della lingua locale, considerata sempre come un ostacolo all'apprendimento dell'italiano e alla promozione sociale, non ha più ragione di essere: curiosamente, la generalizzazione dell'italiano facilita il recupero del sardo e lo sviluppo di una società bilingue. La Lsc potrebbe essere anche utilizzata, più tardi, al di fuori dei documenti amministrativi: ma ciò richiederà un lavoro impegnativo, in particolare sulla scelta del lessico di riferimento. Vorrei anche dire che il ruolo del presidente Renato Soru e la sua volontà di giungere a una soluzione unitaria sono stati determinanti per il buon esito dei dibattiti: lo dico senza alcun partito preso, con la libertà che mi consente il fatto di vivere fuori dall'Isola, di essere cittadino francese, non implicato quindi nella vita politica della Sardegna.
Penso, per concludere, che la Lsc costituisce un passo in avanti importante per la nostra lingua e che esistono oggi condizioni favorevoli per il suo avvenire: siamo però coscienti che non c'è più tempo per esitazioni o rimesse in causa. Ogni anno, nel mondo, scompaiono venti lingue: domani potrebbe anche essere la volta della nostra.
Per alcuni, questa eventualità non sembra suscitare un'emozione particolare. Per quel che mi riguarda so che, come ogni lingua, quella della Sardegna costituisce un immenso patrimonio culturale che merita di essere protetto e salvaguardato e per il quale vale la pena di battersi.
* Professore emerito dell'Università di Grenoble
Ne concluderà che la sua è una lingua di seconda categoria, inadeguata a esprimere l'esperienza quotidiana. Sono d'accordo che si debbano incoraggiare prima di tutto i sardi a parlare la loro lingua, in tutte le situazioni; ma mi sembra anche urgente, per darle maggior prestigio, di promuoverne la scrittura a partire dalle parlate locali, come lo ha sempre sostenuto Maria Teresa Pinna Catte. Ciò renderebbe più accessibili le opere già pubblicate in cui gli autori utilizzano in genere la varietà che parlano, scelta che va apprezzata, sapendo che la diversità linguistica costituisce un patrimonio culturale da preservare: tengo a precisare che nessuno, nella Commissione, ha mai affermato che la Lsc doveva essere imposta a tutti gli scrittori di lingua sarda. Bisogna constatare però che, rispetto ad altre lingue di minoranza come il galego o il catalano, per esempio, che conoscono ugualmente numerose varietà (almeno 14 per la seconda) mancava alla lingua sarda una forma scritta comune. Per giungere a una Lsc due soluzioni erano possibili: scegliere una varietà già esistente o privilegiare una varietà «di compromesso». Fin dagli anni '80, avevo proposto di utilizzare la parlata di Nuoro per il sardo scritto: fui accusato di voler far parlare tutti i Sardi in nuorese, travisamento della verità che si ritrova oggi a proposito della Lsc.
In un articolo recente pubblicato sulla “Nuova Sardegna”, Giulio Angioni, membro della Commissione, criticando il sindaco di Mogoro che ha aperto un corso sulla Lsc per i suoi dipendenti, si chiede se questa sia «da usare oralmente e per iscritto?». Il punto interrogativo fa sorgere il dubbio che la Commissione avesse programmato di far parlare tutti i Sardi in questa lingua. Ma non lo ha mai fatto: se questo fosse stato l'obiettivo non ne avrei mai fatto parte. Sempre Angioni scrive: «So di sostenitori di una tale impresa, spacciata per patriottica e sardista, tanto che si vorrebbe che magari anche a Carloforte e a Tempio si insegnasse a scuola e si parlasse e scrivesse negli uffici il logudorese della Limba Sarda Comuna». Senza nominare nessuno, ma contribuendo alla confusione, l'autore lascia intravedere una possibile volontà della Commissione di imporre la Lsc alle aree delle altre varietà romanze dell'Isola (catalano, tabarchino-peglino, gallurese e sassarese) la cui autonomia linguistica non è più da dimostrare: neppure questa proposta è stata mai fatta. Vorrei anche dire al mio collega che non sento in me nessuna fibra «patriottica e sardista», che mi esprimo solo da linguista e che la mia azione in favore della Lsc non manifesta nessuna volontà egemonica «di risorgimental-monarchica-fascista memoria», formula che rivela soprattutto motivazioni politiche.
La Lsu della prima Commissione non era una lingua artificiale come sostennero molti: ho dimostrato in un articolo che il suo sistema ortografico corrispondeva, per l'essenziale, alla struttura fonetica della parlata di Noragugume. La Lsc, adottando certe soluzioni ortografiche corrispondenti alla pronuncia di un'area sarda meridionale compresa fra l'Ogliastra e la media e bassa valle del Tirso, e la possibilità di usare al plurale sia i due articoli sos/sas, sia l'articolo unico is del sardo meridionale, corrisponde, in definitiva alle parlate di Neoneli (con sos/sas) e di Samugheo (con is), molto vicine per altro a quelle di Busachi, Ula Tirso, Fordongianus e Allai. Niente esperanto isolano, come qualche erudito ha voluto affermare, ma varietà effettivamente esistenti. Fin dall'inizio si sapeva che la Lsc era destinata all'edizione bilingue dei documenti ufficiali della Regione: come immaginare la redazione di ogni testo in ciascuna delle numerose varietà del sardo che le inchieste geolinguistiche del Wagner, del Pellis, le mie personali e quelle di M.G. Cossu, hanno messo in evidenza? Penso però che dovrebbe essere adottata anche dalle Province, per ragioni evidenti. Quella di Oristano, per esempio, comporta regioni di sardo settentrionale (Planargia, parte del Monteferru, ecc.) e meridionale (Campidano di Oristano, Arborea, ecc...) e quella di Nuoro ingloba le parlate meridionali della Barbagia di Belvì. Si aggiungano le notevoli differenze linguistiche interne.
La Provincia di Nuoro dovrebbe tener conto delle varietà della stessa Barbagia, di quelle del Marghine, o delle parlate di Posada e Torpè, nell'area est-Logudoro. Stesso problema per l'Ogliastra: che forma scegliere, per esempio, per «olio», fra ogiu, olgiu, oxu e ollu, attestate tutte nelle parlate del suo territorio? Si pensi poi alle Province che dovranno anche pubblicare gli atti nelle altre varietà romanze. Quella di Sassari, in particolare, dovrà utilizzare, oltre al sardo - anche qui con diverse varietà interne - il sassarese, il gallurese e il catalano di Alghero. Si sente già dire, con accenti populisti, che l'adozione della Lsc implica nuovi finanziamenti regionali o che in Sardegna «ci sono altre cose più importanti da fare»: come se la difesa della lingua fosse roba da nulla. A me sembra, invece, che l'azione intrapresa per il recupero del sardo possa aprire nuove prospettive di lavoro e suscitare nuove vocazioni per migliaia di giovani, in tutta l'Isola. Bisogna sapere quali sono le ambizioni dei Sardi per la loro lingua.
Giulio Angioni insiste sul fatto che in Sardegna esiste una «quasi piena totalità di parlanti italiano e spesso monolingui», come conferma l'inchiesa socio-linguistica promossa dalla stessa Commissione. Dobbiamo capire che considera come inutile ogni tentativo di unificazione del sardo scritto e l'edizione bilingue degli atti pubblici? È un punto di vista: per i suoi difensori l'esistenza di un'Amministrazione, di una scuola, di una stampa, di un cinema, di una televisione, esclusivamente in italiano è sufficiente, e più economica. Il mio collega avrebbe dovuto difenderlo - ma non lo ha fatto - in seno alla Commissione. Ciò significherebbe accettare per il sardo un ruolo sempre più marginale e la sua ineluttabile regressione: a me sembra, al contrario, che non solo possa sopravvivere ma anche conoscere una nuova dinamica, soprattutto nei piccoli centri o in quelli di media importanza dove la percentuale dei sardofoni resta relativamente alta.
Anche il rapporto con la lingua nazionale può diventare meno conflittuale. Oggi che tutti i Sardi sono italofoni, l'ostilità nei riguardi della lingua locale, considerata sempre come un ostacolo all'apprendimento dell'italiano e alla promozione sociale, non ha più ragione di essere: curiosamente, la generalizzazione dell'italiano facilita il recupero del sardo e lo sviluppo di una società bilingue. La Lsc potrebbe essere anche utilizzata, più tardi, al di fuori dei documenti amministrativi: ma ciò richiederà un lavoro impegnativo, in particolare sulla scelta del lessico di riferimento. Vorrei anche dire che il ruolo del presidente Renato Soru e la sua volontà di giungere a una soluzione unitaria sono stati determinanti per il buon esito dei dibattiti: lo dico senza alcun partito preso, con la libertà che mi consente il fatto di vivere fuori dall'Isola, di essere cittadino francese, non implicato quindi nella vita politica della Sardegna.
Penso, per concludere, che la Lsc costituisce un passo in avanti importante per la nostra lingua e che esistono oggi condizioni favorevoli per il suo avvenire: siamo però coscienti che non c'è più tempo per esitazioni o rimesse in causa. Ogni anno, nel mondo, scompaiono venti lingue: domani potrebbe anche essere la volta della nostra.
Per alcuni, questa eventualità non sembra suscitare un'emozione particolare. Per quel che mi riguarda so che, come ogni lingua, quella della Sardegna costituisce un immenso patrimonio culturale che merita di essere protetto e salvaguardato e per il quale vale la pena di battersi.
* Professore emerito dell'Università di Grenoble