La Nuova Sardegna

La grande bellezza dell’arte del montaggio

di Fabio Canessa
La grande bellezza dell’arte del montaggio

Ad Alghero Cristiano Travaglioli, collaboratore di Sorrentino

24 giugno 2015
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ALGHERO. Il cinema è un’arte complessa. Un lavoro collettivo che arriva dopo tanti passaggi al prodotto finale, il film che arriverà nelle sale. L’ultima fase creativa del processo che parte da un’idea e dal suo sviluppo in una sceneggiatura, è costituita dal montaggio, caratteristica fondante della settima arte. Tra i più grandi montatori italiani c’è Cristiano Travaglioli, stretto collaboratore di Paolo Sorrentino. Reggiano, classe 1968, pluripremiato per il suo lavoro (dall’Oscar europeo per “La grande bellezza” al recente David di Donatello per “Anime nere”), Travaglioli è stato protagonista nei giorni scorsi di una masterclass a Villa Gioiosa, sede del Parco di Porto Conte. Tre intense giornate di lezione sul ruolo del montatore, troppo spesso dall’esterno visto come un semplice esecutore del regista. «In realtà è più complesso – sottolinea Cristiano Travaglioli – Le decisioni si prendono quasi sempre di concerto con il regista, ma a volte il montatore è anche lasciato solo a lavorare sul film, perché spesso si premonta durante le riprese. Quindi il montatore agisce liberamente, creativamente, interpretando il materiale e fa vedere il suo lavoro al regista che accetta, corregge o rifiuta a seconda dei casi. C'è una componente creativa molto elevata. Di fatto il montatore con il regista decide come costruire, confezionare il film, così come lo vedrà il pubblico».

Quanto il montaggio diventa fase di riscrittura di un film?

«Dipende dai casi, ma qualcosa si cambia o si sposta quasi sempre. Nella storia del cinema ci sono poi casi eclatanti di stravolgimento. Per esempio si dice che "Il conformista" di Bertolucci fosse stato ipotizzato come un film lineare, invece durante il montaggio furono intersecati i piani temporali. Con continui salti, avanti e indietro, nella narrazione».

Capita spesso anche con Sorrentino di riscrivere parti del film?

«Sì, tante volte abbiamo spostato sequenze per renderle più efficaci».

Che approccio ha al montaggio il regista napoletano?

«Con Paolo non si premonta durante le riprese, aspetto che finisca di girare e quindi iniziamo insieme. È un regista con idee molto chiare, io cerco di aiutarlo a realizzare quella che è la sua visione. C'è un rapporto di continuo interscambio».

Su quante ore di girato lavorate di solito?

«Sempre una mole di girato piuttosto grande rispetto a quello che sarà il film. Per esempio con "La grande bellezza" su circa 95 ore, per arrivare a un prodotto finale di 140 minuti. Dal momento che oggi si utilizzano sempre di più i sistemi digitali in ripresa il costo del materiale girato è diminuito, si gira quindi di più e c'è più da esaminare».

Il digitale ha portato altri cambiamenti al lavoro di montaggio?

«C'è più materiale, ma come approccio non direi. Lo stile e l'estetica dipendono molto dal regista. Quando ho iniziato, comunque lavoravo già in ambiente digitale, ma con materiale girato in pellicola che veniva poi trasformato e digitalizzato».

Quale percorso ha seguito per diventare montatore?

«Dopo studi accademici di storia del cinema, mi sono appassionato a questo mestiere e ho fatto la prova di ammissione al Centro sperimentale di cinematografia nel corso di montaggio, dove ho avuto un grande maestro come Roberto Perpignani. Poi uscito dal Centro sperimentale ho fatto la gavetta, montavo cose televisive e facevo assistente a montatori professionisti al cinema. Uno di questi Giogiò Franchini, con il quale ho iniziato a lavorare con Paolo Sorrentino che era al suo primo lungometraggio».

Una lunga collaborazione la sua con il regista napoletano.

«Con ruoli differenti. Ho iniziato come assistente in "L'uomo in più" e "Le conseguenze dell'amore". In "L'amico di famiglia" ho fatto una collaborazione e poi ho montato "Il divo", "This Must Be the Place", "La grande bellezza" e "Youth". Gli ultimi suoi film».

Un altro film recente al quale ha lavorato, di successo, è "Anime nere". Com'è stato lavorare con Francesco Munzi?

«Una bellissima esperienza. Mi ha coinvolto subito, facendomi vedere addirittura i provini del cast, chiedendomi vari consigli anche in fase di sceneggiatura. Mentre lui girava il film in Calabria, io premontavo il film a Roma, gli mandavo le sequenze in modo che potesse esaminarle, ci scambiavamo idee a distanza. Poi quando ha finito di girare il film era già steso e da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme, ho assorbito alcuni suoi consigli e lo abbiamo definito in un tempo abbastanza breve».

Tra i vari impegni ha trovato anche il tempo di collaborare a "Perfidia" di Bonifacio Angius.

«Mi ha contattato la produttrice Grazia Porqueddu. Ho letto il progetto, mi è piaciuto moltissimo e ho deciso di aderire. Non montandolo dall'inizio, ma effettuando una supervisione e consigliando Tommaso Gallone che l'ha montato. Dopo il montaggio ho visto il film, ho operato alcuni tagli, degli spostamenti, prima di venire qua dove ho lavorato due settimane insieme a Bonifacio. Sono felice che il film sia andato bene, a partire dalla selezione al festival di Locarno».

In futuro con quale regista le piacerebbe lavorare?

«In Italia sono contento di lavorare con Sorrentino perché ha uno stile, delle storie, un modo di raccontare molto vicino ai miei gusti anche come spettatore. Però mi piacciono tanti registi diversi tra loro, come Moretti e Garrone, che lavorano con bravissimi colleghi. Per quanto riguarda l'estero sarebbe un sogno collaborare con registi come Michael Mann o Peter Greenaway . Sono prima di tutto un appassionato di cinema, il motivo alla base per cui faccio questo mestiere».

Ai ragazzi che incontra in occasioni come questa a Porto Conte cosa consiglia prima di ogni cosa?

«Di avere passione e di alimentarla studiando la storia del cinema. Mi piace quando faccio questi incontri raccontare come il passato ha influenzato il montaggio per come lo vediamo oggi. Griffith, Eisenstein , la Nouvelle Vague… Le grandi innovazioni nel montaggio che sono parallele alle trasformazioni del cinema».

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