Mont’e Prama, si riparte: «Scavi aperti nel 2019»
La soprintendente Picciau a Cabras: «Useremo i 59mila euro stanziati dal Mibact. Il georadar è uno strumento valido e utile ma non può sostituire gli archeologi»
INVIATO A CABRAS. Osservati dal suo punto di vista, il numero di misteri che orbitano attorno alla collina di Mont’e Prama si riducono al minimo sindacale. Maura Picciau, soprintendente archeologico per le province di Cagliari e Oristano dal giugno del 2018, ha scelto il sito archeologico del Sinis come scenario ideale per rompere il silenzio sui Giganti di pietra. Una scelta ragionata e difficile perché il codice etico delle soprintendenze, varato nel 2017 dal ministro Franceschini, vieta ogni contatto con la stampa. Chi lo viola, rischia un procedimento disciplinare. Ma il silenzio non permette di difendersi dagli attacchi e da gli insulti urbi et orbi ricevuti dalla soprintendenza.
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Gli scavi. Abbattuto il primo muro di gomma, Maura Picciau spiega lo stato dell’arte nel sito mentre passeggia tra gli scavi che hanno restituito alla modernità gli ormai famosissimi 38 giganti di pietra: «Gli scavi sono fermi – spiega – ma questa non è certo la nostra volontà. Purtroppo non abbiamo ricevuto i finanziamenti. I fondi ministeriali che sarebbero dovuto arrivare tra marzo e aprile sono in fase di aggiudicazione provvisoria da febbraio. Ora pare si stia muovendo qualcosa. Se dovessi fare una previsione direi che potrebbero essere disponibili a gennaio. Quindi siamo costretti a sperare in un inverno secco perché noi vorremmo ripartire subito». Il portafoglio, però, non sarà ricchissimo. Anzi. «Avremo a disposizione 59mila euro. È questa la quota di finanziamento disponibile dalla “linea” che porterà in Sardegna 3 milioni e mezzo per tutta l’area sud-occidentale dell’isola. Non sembrano molti soldi ma noi siamo bravi a lavorare in economia». Capacità di risparmio a parte, 59mila euro sembrano davvero poca roba. Soprattutto quando le premesse erano e sono apparecchiate su una tavola in cui si parla apertamente di “brand mondiale”. Dunque, sembra automatico il declassamento a delle più modeste “nozze con i fichi secchi”. Detto questo, i fondi ministeriali non saranno l’unica risorsa disponibile: «A quanto ci risulta l’università di Sassari ha ricevuto un finanziamento di 75mila euro per tre annualità dalla Fondazione di Sardegna. Considerato che gli scavi sono stati effettuati solo nel 2016, anche se ancora non abbiamo ricevuto la relativa documentazione, è possibile che l’università abbia ancora due annualità di scavo da coprire».
Il sito e la vigna. Il programma di scavo, poi, è già pronto. È l’idea è di ampliare il sito: «L’area di indagine sarà più grande. Nessuno si immagini dimensioni da megalopoli, perché non si ragiona su queste dimensioni, ma faremo diversi saggi fuori dall’attuale area di scavo. Questo sì». Un annuncio che presuppone l’esproprio dei terreni circostanti dove, però, nel 2015, è stato piantato un vigneto: «Se ne occuperà il Comune di Cabras. Siamo in contatto con l’amministrazione e posso dire che le pratiche stanno procedendo. La vigna, poi, merita un discorso a parte perché sono state dette tante inesattezze – aggiunge Maura Picciau–. Partiamo dall’inizio: non è assolutamente vero che lo scavo non sia sottoposto a un vincolo archeologico diretto. Anzi, è così dal 2005 e ovviamente è stata individuata una fascia di rispetto di cento metri attorno al sito. Purtroppo, però, questo non vieta l’impianto di nuove colture, quando si tratta di terreni agricoli. Infatti l’autorizzazione firmata dal responsabile dello scavo, di cui tutti parlano a sproposito, non riguarda la vigna, perché coltivare su quelle terre è lecito, ma la “palificazione”, cioè la posa dei paletti che sostengono le viti. Noi potevamo solo evitare che fossero piantati a più di cinquanta centimetri di profondità. D’altra parte, non c’erano alternative dopo che era stata segnalata al ministro l’opportunità di un nuovo finanziamento per procedere agli espropri». L’equivoco, per usare un eufemismo, non deriva solo dell’atavica carenza di denaro con cui sono costrette a fare i conti le soprintendenze ma anche da una valutazione per difetto sull’estensione del sito effettuata durante gli scavi degli anni 70, dimostrata proprio dai saggi del 2017 che hanno rinvenuto una tomba tra i filari delle viti piantate nel 2015. E un sito più esteso avrebbe potuto contare su un vincolo “diretto” più esteso.
La Fondazione. In ogni caso, tutti questi aspetti dovranno esser gestiti da una “Fondazione”, nuovamente d’attualità dopo il ritorno di Dario Franceschini al Mibact: «Sulla Fondazione non posso dire granché per un motivo semplice: non abbiamo ricevuto informazioni dirette. Dunque non possiamo che confidare nella saggezza di chi ne farà parte perché il Sinis è un territorio ricchissimo che merita di essere valorizzato». La risposta è simile anche quando si parla del futuro dei giganti e del loro ritorno a Cabras: «La proprietà delle statue è del Polo museale dalla Sardegna. I giganti che fanno parte del patrimonio della soprintendenza sono quelli rinvenuti dopo la riapertura degli scavi nel 2014. E quelli sono a Cabras».
Il georadar. Nel gergo degli appassionati di archeologia, giganti fa rima con georadar: «Uno strumento efficiente ed efficace per trovare gli indizi e i segnali utili agli scavi ma di certo non è risolutivo. Le anomalie devono essere verificate e accompagnate da studi di superficie che sono altrettanto importanti. Questi lavori dovrebbero essere intrecciati. Su Ranieri invece non posso dire nulla, sono in carica dal 2018, quando aveva già abbandonato Mont’e Prama». Proprio dalla soprintendenza, però, era partito un commento “social” imbarazzante che definiva il georardar “una truffa”: «Non siamo noi a gestire la pagina Facebook “Mibact Sardegna”. Se ne occupano al Coordinamento delle Soprintendenze e dei poli museali». L’ultimo pensiero è rivolto alla possibilità che oltre a una necropoli monumentale Mont’e Prama custodisca anche i resti di una grande città: «No, quest’ipotesi non mi convince per diversi motivi ma soprattutto perché storicamente le aree mortuarie e quelle dove si onoravano i defunti erano staccate dagli insediamenti abitativi. In ogni caso, saranno gli archeologi e la loro analisi storica a fugare ogni dubbio al riguardo».