Stop numero chiuso, l'Ordine: «Più medici ma privati, a gettone, pronti per Dubai»
Le perplessità del presidente Salvatore Lorenzoni sulle nuove modalità di accesso alla Facoltà
Sassari Il famigerato test d’ingresso a Medicina sta per finire in soffitta. Almeno nelle università statali. La riforma parlamentare, appena approvata alla Camera con 149 voti favorevoli e 63 contrari, cambia le regole e manda in pensione il quiz tanto temuto dagli aspiranti camici bianchi.
Al suo posto arriva una selezione più graduale: il primo semestre sarà aperto a tutti, ma solo chi supererà gli esami con i migliori risultati potrà accedere al secondo semestre e proseguire nel percorso di laurea. L’ammissione sarà decisa da una graduatoria nazionale basata sui voti universitari. Obiettivo dichiarato: superare il famoso “imbuto formativo” che da anni blocca migliaia di laureati senza sbocchi nelle specializzazioni. Per questo, il numero di ingressi all’università dovrà essere raccordato con i posti disponibili post-lauream. Secondo il Governo, semplificando molto il ragionamento, se si sfornano più medici sarà più semplice trovare personale per rimpinguare i posti vacanti in sanità.
Il parere dell’Ordine
Una logica che però non convince affatto il presidente dell’Ordine dei medici di Sassari. Per una serie di considerazioni molto semplici. «La prima – spiega Salvatore Lorenzoni – è che in realtà in Italia, e ancora di più in Sardegna, non si ha una vera carenza di medici, almeno in rapporto alla popolazione; la carenza reale, concreta e in costante peggioramento, riguarda invece la scarsità di medici nel Sistema Sanitario Nazionale, divenuto ormai poco appetibile sotto diversi punti di vista, in particolare quelli della soddisfazione economica e professionale, e come tale pochissimo competitivo rispetto all’attività privata. Mi riferisco al lavoro all’interno degli ospedali, dei poliambulatori Asl, e in tutti i settori del pubblico. Più medici laureati, ammesso che crescano di pari passo le disponibilità nelle scuole di specializzazione, in questo contesto temo non corrisponderanno alla copertura delle attuali carenze dei reparti ospedalieri, del territorio, della Medicina Generale, della Pediatria di libera scelta, ma verosimilmente porterebbero a un maggiore afflusso nelle strutture private o nei Paesi esteri, cioè in tutte quelle situazioni economicamente e professionalmente più attrattive». E il motivo è questo: «Le nuove generazioni sono diverse dalle precedenti, che avevano ancora il mito del posto fisso alla Zalone, o con le radici ben piantate nella propria terra. Ora si scelgono le branche più remunerative, e il rischio è di creare un esercito di chirurghi estetici o di medici a gettone. Oppure di professionisti con le valigie pronte per Dubai o la Francia, dove gli stipendi sono quattro volte tanto. In Sardegna più della metà dei medici che esce dalle nostre scuole di specializzazione, mica resta da noi. E noi formiano decine e decine di figure che poi spendono le loro competenze altrove. Se non si pensa a rendere davvero appetibile il sistema sanitario pubblico con delle retribuzioni adeguate, non sarà certo l’abolizione del numero chiuso a portare nelle nostre corsie ospedaliere i giovani specializzati».
In più c’è un altro problema, quello della qualità della didattica: «Voglio precisare – continua Lorenzoni – che l’abolizione del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina da un punto di vista etico mi trova d’accordo. A mio avviso risponde alla soddisfazione di un principio costituzionalmente previsto, quello del diritto allo studio, fino ai massimi gradi dell’istruzione. Ma questo principio cozza laddove si limiti l’accesso all’iscrizione ad un corso di studi. Ma c’è il rovescio della medaglia: il limite nel numero degli iscritti dovrebbe garantire la qualità della didattica (docenti, strutture, tirocini, ecc. Immaginate una classe delle scuole medie che da 20 alunni si ampliasse a 50. Cosa preferireste per vostro figlio? In più, per una pletora di medici, subentrerebbe anche l’incognita dello sbocco lavorativo».
I punti fermi della riforma
Ora la palla passa al ministero dell’Università, che sta già limando il primo decreto attuativo. La ministra Bernini vuole chiudere in fretta: il provvedimento dovrà prima passare in Consiglio dei ministri, poi ricevere il parere delle commissioni parlamentari e infine tornare al governo per l’approvazione finale.
Alcune certezze, però, ci sono già. Gli studenti che non riescono ad accedere al secondo semestre avranno la possibilità di ripetere il semestre filtro una sola volta. Inoltre, al momento della domanda, ogni candidato dovrà indicare più università nelle quali è disposto a proseguire gli studi, in base a un ordine di preferenza. Se non supererà la selezione, potrà essere ammesso in soprannumero ad altri corsi di laurea delle aree biomediche, farmaceutiche e sanitarie. Una sorta di “paracadute” per chi non ce la fa.
Le università private
Per ora, la riforma vale solo per i corsi di Medicina in lingua italiana nelle università statali. Nelle facoltà private, invece, il test d’ingresso potrebbe rimanere anche negli anni successivi. Molti atenei non statali hanno già chiuso le iscrizioni per la selezione del 2025/26, quindi per loro il cambiamento non sarà immediato.