La Nuova Sardegna

Miglio, l’isola nel cuore: resto qui, questa è casa mia

di Mario Girau
Miglio, l’isola nel cuore: resto qui, questa è casa mia

Dopo sette anni l’arcivescovo lascia la diocesi di Cagliari a monsignor Baturi

05 gennaio 2020
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CAGLIARI. Monsignor Arrigo Miglio lascia la presidenza della Conferenza episcopale sarda con due sentimenti forti – rammarico e soddisfazione – e una consegna ai vescovi isolani, compreso il nuovo, il catanese Giuseppe Baturi (55 anni) che oggi sarà consacrato dal cardinale Gualtiero Bassetti arcivescovo di Cagliari nella basilica di Bonaria. Il rammarico di monsignor Miglio, 77 anni, originario di San Giorgio Canavese (Torino), ma ormai sardo di adozione, riguarda la formazione alla politica. «Non siamo riusciti, in Sardegna come nel resto d’Italia, ad aiutare i laici, uomini e donne, a prepararsi per l’impegno diretto in politica. Non è più questione di capire – dice il presule – se in questo o quell’altro partito. Quando sono diventato vescovo c’era ancora la Democrazia Cristiana. Ho vissuto tutti i passaggi del nuovo partito cattolico sì-no, col cardinale Camillo Ruini che prima ha difeso la DC e poi ha cambiato strategia. Non mancano le iniziative (convegni, seminari, pubblicazioni), ma sono poco coordinate. C’è urgenza in tutto il paese di una politica d’alto profilo: un tema che maturerà sicuramente nella coscienza dei cattolici e anche dei laici». In Sardegna muovono i primi passi due scuole di formazione socio-politica: una nella diocesi di Ales-Terralba e la seconda ad Alghero-Bosa.

La soddisfazione di Miglio è invece quella di aver “protetto” i lavoratori della Rwm, la fabbrica di bombe nel territorio di Domusnovas. «Con una lettera inviata la vigilia della marcia della pace del 2018, la Ces - Conferenza episcopale sarda - ha evidenziato il ricatto in cui si trovano i lavoratori e anche noi vescovi. Indubbiamente – chiarisce monsignor Miglio – non si può stare in silenzio quando si fabbricano e si usano armi di questo tipo, tra l’altro vendute a un paese in guerra (da luglio scorso l’export è stato sospeso per decisione del Parlamento ndr) Ma i lavoratori non hanno alternative: fabbricare bombe o perdere il lavoro. Un ricatto veramente crudele. Nei giorni scorsi ci è stato ricordato che qualcuno ha fatto il gesto eroico dell’obiezione». Le parole della “Lettera al fratello che lavora in una fabbrica di armi” di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e venerabile per la Chiesa, ha ispirato il documento dell’episcopato sardo: «Non ti esorto perciò, almeno per ora, a quella forte testimonianza profetica di pagare, con la perdita del posto di lavoro, il rifiuto di collaborare alla costruzione di strumenti di morte. Ma ti incoraggio a batterti – scrive Tonino Bello – perché si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell’industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita. È un progetto che va portato avanti. Da te. Dai sindacati. Da tutti». A dare speranza a monsignore Miglio è il fatto che i messaggi dei vescovi sardi hanno buona audience. «Sono ascoltati più di quanto io immaginassi. Il vero problema – dice l’arcivescovo emerito – è che la dottrina sociale non fa parte dell’insegnamento base per la formazione cristiana e quindi non rientra nella pastorale ordinaria. Troppa gente è convinta di poter dialogare tranquillamente con Nostro Signore ignorando ciò che succede intorno a noi». La “politica” ecclesiale non fa difetto a Miglio, biblista per vocazione e formazione, allievo del cardinale Carlo Maria Martini, gettato nella mischia sociale e del lavoro dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Sette anni a Iglesias gli hanno fatto scoprire la solitudine della Sardegna: un’isola isolata. Nel Sulcis arrivò nel 1992, nominato da papa Giovanni Paolo II al posto di Giovanni Cogoni, dimessosi per limiti di età. In quegli anni a Iglesias monsignor Miglio fu particolarmente vicino ai minatori recandosi più volte nelle miniere del Sulcis per testimoniare loro la sua vicinanza. Dopo una parentesi di tre anni a Ivrea, dove successe a don Luigi Bettazzi, fu richiamato a Cagliari da papa Benedetto XVI il 18 febbraio 2012: «Non me l’aspettavo, ma se lo vuole il Papa, ritorno volentieri», disse Miglio al nunzio apostolico. Il settembre dello stesso anno diventa presidente della Conferenza episcopale sarda. Appena rientrato in Sardegna si adopera perché la presidenza della Cei metta nell’agenda degli impegni nazionali anche la Sardegna. Sono arrivate così le settimane sociali, la giornata nazionale del ringraziamento del mondo agricolo, la marcia di “Pax Christi”. «Non è escluso che un giorno si celebri in una nostra città un congresso eucaristico nazionale», spera Miglio, che ha deciso di risiedere in Sardegna: «Sono molto affezionato a questa terra, mi sento a casa mia».

La consegna ai giovani vescovi sardi ( gli “anziani” Sebastiano Sanguinetti e Giovanni Paolo Zedda lasceranno rispettivamente il loro incarico quest’anno e nel 2022) riguarda la valorizzazione del laicato. «Le chiese sarde ancora hanno un numero sufficienti di preti. Dare responsabilità ai laici non dipende dal numero dei sacerdoti (pochi o molti), ma implica un modello di Chiesa. I laici non sono i supplenti per quando mancano i preti. Hanno un loro carisma e una loro grazia. Si tratta di far crescere questa cultura ecclesiale».

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