La Nuova Sardegna

Sassari: è incinta ma non la possono visitare, perde il bambino

di Luigi Soriga
Sassari: è incinta ma non la possono visitare, perde il bambino

Il prezzo dei controlli anti covid, la ragazza era alla quinta settimana ed era andata all'ospedale perché aveva una piccola emorragia

09 gennaio 2022
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SASSARI. Il covid è un terribile asettico dei rapporti umani. Lavora sulle distanze, sta sterilizzando anche il contatto medico paziente. La sanità in queste settimane sta con la guardia alta, ha bisogno di proteggersi. È un fortino fragile, e per i malati le porte non stanno sempre aperte, come in passato.


Questa storia è terribile e allo stesso tempo emblematica: fa capire come la pandemia abbia cambiato l’interazione tra chi sta male e chi deve curarlo. E come sia difficile, su entrambi i fronti, incontrarsi e capirsi.

Una donna ieri mattina si presenta al pronto soccorso Ostetrico. È alla quinta settimana di gravidanza, era un sogno che cullava da cinque anni. Dice il marito: «Aveva accusato delle piccole perdite, ma ciò che la preoccupava di più era il mal di pancia, sempre più forte». Lei è in apprensione, e un’amica medico le consiglia di rivolgersi alla struttura di viale San Pietro. Si presenta e descrive i sintomi all’ostetrica. Lieve emorragia, e dolori addominali. Le chiedono se sia vaccinata e se abbia fatto il tampone da poco. Seconda dose, terza prenotata, ma nessun test covid recente.

I contagi in queste settimane si moltiplicano in maniera esponenziale, e la Ginecologia ha deciso di applicare dei filtri per evitare eventuali focolai interni. L’ostetrica chiama il medico del reparto al quarto piano, e le descrive la situazione. «Dopodiché riferisce a mia moglie che non poteva essere visitata, perché per accedere occorreva un tampone molecolare. Non si può fare subito? Chiediamo. La risposta è che prima di lunedì sarebbe stato impossibile. In ogni modo ci tranquillizza dicendoci di tornare pure a casa, monitorare la perdita, e qualora dovesse aumentare, di ripresentarsi immediatamente».

I due ritornano al parcheggio, giusto il tempo di salire in macchina che l’emorragia diventa copiosa. Aborto spontaneo, la donna purtroppo perde il bambino. «So benissimo che queste cose durante il primo mese possono capitare. E non voglio dire che una visita avrebbe potuto cambiare il destino – dice la mamma –. Ma io mi sento profondamente triste e arrabbiata, perché ciò che mi è mancata è stata la comprensione umana. Mi sono sentita messa da parte, perché penso che una visita a una mamma che sta male, che aspetta questo tesoro da cinque anni, sia un diritto sacrosanto. Mi avrebbe aiutato ad accettare tutto con meno amarezza». Purtroppo sono scelte difficili anche per gli stessi medici. Quella stessa paziente, senza la pandemia, probabilmente sarebbe salita senza esitazione in reparto. Ma il covid, ha cambiato inevitabilmente le regole di ingaggio, disinfettando tutto, filtrando chirurgicamente anche empatia e calore.

Spiega il primario di Ginecologia Giampiero Capobianco. «In queste settimane siamo stati costretti a correre ai ripari. Un cluster interno sarebbe un disastro, dobbiamo proteggere le altre donne ricoverate in attesa di partorire. Per questo i casi più semplici, in assenza di un tampone, cerchiamo di risolverli nel pre-triage. La paziente ha parlato di una lieve perdita e di dolori addominali, è una situazione purtroppo frequente a 3-4 settimane di gravidanza, e gestibile a casa. La nostra raccomandazione è stata quella di tornare immediatamente, qualora l’emorragia non passasse o aumentasse. Noi vorremmo poter visitare tutti come prima, ma dobbiamo preservare il reparto. Nei giorni scorsi, grazie allo screening molecolare preventivo, siamo riusciti a intercettare otto donne positive. E le abbiamo potute gestire nella nostra area Covid. Ci dispiace davvero per quello che poi è accaduto alla paziente. Ma, è triste dirlo, noi non avremmo potuto cambiare le cose. Non almeno in una fase così prematura del feto».


 

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