La Nuova Sardegna

L'analisi

Sardegna, le emergenze sempre uguali e la mancanza di una visione

Sardegna, le emergenze sempre uguali e la mancanza di una visione

Uno studio di Antonello Mattone sugli interventi legislativi dal 1869 al 1914: «In passato ci sono state scelte importanti, oggi manca un piano di sviluppo»

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Sassari Il titolo austero ed essenziale “Storia della legislazione speciale per la Sardegna (1869-1914)” anticipa un freddo saggio cronologico di storia. È invece il sottotitolo “Origini, sviluppi, aspettative, delusioni” che preannuncia un racconto vivo, un viaggio ricchissimo di personalità, idee, sogni e progetti che hanno reso l’isola quello che ancora, sfortunatamente, è oggi. Un’enorme quantità di dati e una prosa scorrevole rendono il saggio edito dalla Edes (655 pagine, 30 euro) un testo illuminante, se non irrinunciabile, su temi ancora all’ordine del giorno. «Lo stile di scrittura proviene dal giornalismo, attività che ho esercitato per tanti anni attraverso la lezione di un grande direttore della Nuova: Alberto Statera e grazie alle lezioni di stile di Manlio Brigaglia», spiega subito l’autore del volume Antonello Mattone. Storico tra i più importanti della sua generazione, con un vasto curriculum di studi, ricerche e impegni universitari e anche un intellettuale curioso e coltissimo su vari aspetti del mondo e dell’arte (è, tra le altre cose, presidente dell’Ente Concerti “De Carolis” di Sassari).

Cosa ha mosso il suo interesse, professore, quale motivazione c’è dietro questo studio?

«Intanto il lockdown ha chiuso gli archivi ma mi ha dato il tempo per esaminare il fondo librario in mio possesso del giurista cagliaritano Giovanni De Gioannis. La motivazione che mi ha spinto è una riflessione sul fatto che il Pnrr è essenzialmente per noi un “intervento speciale”, uno dei tanti della nostra storia. Questo, in qualche misura, mi ha portato alla constatazione che, questa volta, la nostra classe politica dimostra un’incapacità di gestire il futuro. Manca un piano, una visione di insieme che abbia un respiro più ampio nel tempo».

La “specialità” della Sardegna. Una diversità che l’ha posta più volte all’attenzione del legislatore alla ricerca di soluzioni a problemi che sembrano essere comuni anche nel resto del Paese dell’epoca. La miseria diffusa, analfabetismo, mortalità infantile e scarsa aspettativa di vita delle classi subalterne. Cos’aveva di “speciale” l’isola?

«Sicuramente la situazione della Sardegna non è diversa dalle regioni arretrate del Mezzogiorno. La differenza sta nella specialità produttiva che è differente in due aspetti: la Sardegna nell’Ottocento per le sue miniere è la regione più industrializzata del Meridione, ma quella mineraria è una attività di stampo coloniale, che esporta la materia prima in assenza di un’industria di trasformazione, che sfrutta la manodopera infantile e femminile e che costringe a turni massacranti di 18 ore al giorno per paghe bassissime. L’altro aspetto peculiare è quello dell’agricoltura, in Sardegna non esiste il latifondo, le proprietà sono estremamente frammentate e le tecniche primitive, e non permettono la coltura cerealicola a livello estensivo: il grano ha bisogno di grandi appezzamenti di terreno per essere remunerativo. Il territorio è fragile, per il taglio dei boschi, inondazioni e alluvioni si succedono alle continue siccità. La pastorizia è diffusa, ci sono 2 milioni di pecore nel 1880, ma il latte viene espropriato dai caseifici per produrre il pecorino romano. Tra agricoltori e pastori resta l’antica contrapposizione con la perenne disputa di terreni confinanti. La rete dei trasporti interna è estremamente essenziale, si snoda lungo il tracciato nord-sud della strada reale (l’attuale “Carlo Felice”) e verso il porto di Terranova, oggi Olbia. Le zone interne sono praticamente tagliate fuori e isolate. La miseria alimenta il banditismo e le bardane messe in opera da bande di malviventi al soldo di ricchi possidenti».

Una situazione da cui deriva il “grido di dolore” che si alza dall’isola?

«Che determina le “leggi speciali” che analizzo nel libro: già dalla prima, con esiti fallimentari, in seguito all’inchiesta Depretis del 1869, promossa in seguito all’interessamento di Giorgio Asproni, poi la prima legge speciale del 1897, successiva all’ampia relazione di Francesco Pais Serra – la prima dedicata a una regione meridionale – ritoccata nel 1902 e infine quella più incisiva del 1907 perorata da Francesco Cocco Ortu. Un processo che sarebbe continuato con la cosiddetta “legge del miliardo” del 1924, sino al Piano di Rinascita del 1962 rifinanziato nel 1966 e nel 1974».

Interventi ingenti e reiterati. Che effetti concreti hanno avuto sulle infrastrutture e sull’economia dell’isola?

«Grandi somme, dibattiti parlamentari, piani di intervento sulle criticità non sono stati risolutivi. Dalle aspettative, appunto, si è arrivati alla delusione. La nostra isola si trascina, come poche regioni, in un’eredità pesante di problemi irrisolti».

Infatti a scorrere le pagine ritornano questioni che, dopo due secoli e mezzo, ispirano i titoli dei giornali ancora oggi, dall’insufficienza dei trasporti, al flagello biblico delle cavallette, alla continuità territoriale irrisolta, al rischio idro-geologico…

«Elenchiamo: la rete ferroviaria è per la maggior parte ancora quella progettata nell’Ottocento, con lunghi tempi di percorrenza. Le navi: già nel 1886 Pais Serra mette i trasporti marittimi al centro di interrogazioni parlamentari e inchieste. Oggi, chiusa la parentesi del monopolio Tirrenia, siamo in pieno caos con rotte stabilite secondo gli umori delle compagnie, costi altissimi e conseguente isolamento. Le opere idrauliche, anch’esse sempre al centro delle varie legislazioni speciali, non hanno dato nel corso del tempo i risultati sperati per favorire l’irrigazione delle pianure e la modernizzazione dell’agricoltura. Oggi la situazione è anche più grave perché molti Comuni hanno fatto scelte di pianificazione sbagliate o dettate dalla speculazione edilizia. Sono centinaia i Comuni senza un piano contro le alluvioni e quelli che ancora non hanno segnalato la presenza di canali tombati. La storia recente ci ha fatto capire quanto drammatica sia questa situazione. La questione degli ademprivi, i terreni demaniali tradizionalmente di uso comune per il pascolo. La pastorizia è profondamente cambiata, i terreni cerealicoli sono diventati pascolo, non esiste quindi più la transumanza, ma gli usi civici dei terreni esistono ancora, spesso usurpati. Nel 2014 la Corte costituzionale ha bloccato la legge regionale che liberava dal demanio i terreni soggetti a usi civici assegnandoli ai comuni. La Corte mirava, in sostanza, non certo a riproporre gli antichi usi comunitari della terra, ma piuttosto a salvaguardare, da un punto di vista ambientale, boschi, coste e paesaggi. Per quanto riguarda le cavallette è l’espressione di un’agricoltura ancora arretrata che non riesce ancora a debellare un fenomeno che da occasionale è diventato stanziale».

E qui torniamo alla capacità di prevedere, alla visione della classe politica?

«Senza dubbio è questo il tema di fondo della mia ricerca. Se in passato si erano fatte delle scelte, poi rivelatasi non risolutive, come i grandi bacini idrici per l’agricoltura o la scelta dell’industrializzazione petrolchimica. Bisogna dire però che l’isola in passato ha mostrato di avere una classe dirigente di alto livello: Asproni, Cocco Ortu, Segni e via dicendo. Oggi non esiste, soprattutto da parte del governo regionale, un piano concreto di sviluppo, un’idea definita di una direzione economica da seguire, la consapevolezza dell’insufficienza delle infrastrutture: e tutto questo con il Pnrr in atto. Facciamo ancora un esempio: quello dell’insularità in Costituzione. Iniziativa legata all’abbattimento degli svantaggi derivati dall’essere un’isola. Tutto si è risolto in una dichiarazione di principio, pur importantissima, però astratta e senza conseguenti pratiche perché la Sardegna possa godere delle stesse opportunità del resto del Paese. Oggi tutto viene deciso dal governo centrale, con un lungo e triste addio al sogno “autonomistico” dei sardi».

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