La Nuova Sardegna

Urologia al collasso

Sassari, il primario Massimo Madonia: «Siamo alla follia: 262 pazienti gravi e non posso operarli»

di Luigi Soriga
Sassari, il primario Massimo Madonia: «Siamo alla follia: 262 pazienti gravi e non posso operarli»

«Nuoro chiude ad agosto, Olbia non opera, idem Alghero, a Cagliari attese di un anno: l’offerta sanitaria nell'isola è ridicola»

19 ottobre 2023
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Sassari Ogni giorno che passa, per chi ha un tumore grave con alte possibilità di metastasi, è una chance di sopravvivere che evapora. Per questo le regole della buona Sanità impongono che il paziente entri in sala operatoria nell’arco di trenta giorni dopo la diagnosi. In Sardegna è una tempistica che si sgretola su un’assistenza che cade a pezzi. Tempi di reazione più lenti di tutta Italia. Con il tumore alla prostata, tra i più diffusi nella popolazione, che vede il 75 per cento dei malati superare il mese d’attesa, e talvolta aspettare anche più di 120 giorni prima di avere un appuntamento con il chirurgo.

Professor Massimo Madonia, com’è la situazione nel suo reparto di Urologia dell’Aou di Sassari?
«È diventata insostenibile, e purtroppo è solo destinata a peggiorare, a meno di repentini cambi di rotta. In questo momento ho 262 pazienti in lista di attesa, tutti in priorità A. Significa che dovrebbero essere operati ieri, perché il loro quadro clinico è a rischio vita. Invece molti dovranno attendere mesi, e non c’è alcuna possibilità di accelerare i tempi».

Perché si è arrivati a questo?
«I motivi sono diversi. Il primo è che Sassari è considerato un centro di eccellenza, e c’è un’enorme richiesta da parte dei pazienti. Purtroppo però molto spesso la scelta è anche obbligata, perché in Sardegna siamo l’unica struttura efficiente che opera. E questo è scandaloso. Io sono arrabbiato, e sono mesi che denuncio questa situazione senza avere risposte. Possibile che arrivino da Cagliari pazienti disperati, con tumore alla prostata, perché al Brotzu li hanno liquidati dicendo che prima di un anno non potrebbero operarli? Parliamo del Brotzu, del più grande ospedale dell’isola. Altro scandalo: è normale che il San Francesco di Nuoro chiuda il reparto di Urologia nel mese di agosto, quando arrivano anche i turisti e la popolazione raddoppia? Puoi avere tutti i problemi di personale che vuoi, ma non esiste che un reparto chiuda le porte e abbandoni i pazienti al proprio destino. Tanto poi c’è Sassari chiamata a mettere una pezza. Non finisce qui: Urologia al San Francesco riapre ai primi di settembre, dopodiché ancora problemi e nuovamente tutti i pazienti dimessi. E su Sassari la pressione si fa ancora più insostenibile».

Ma le altre strutture dell’isola? Non riescono ad alleggerire le liste di attesa?
«Dagli altri centri non c’è alcun contributo: Olbia fa solo visite, ma niente chirurgia. Idem Alghero, e lo stesso vale per Oristano. Tutti i tumori in classe di priorità A finiscono per riversarsi nel mio reparto. Ho fatto un solo giorno di ferie il 17 agosto, per il compleanno di mia figlia. Stop: non ho potuto permettermi un’assenza in più. Perché noi dobbiamo lavorare con ritmi simili, e le altre strutture si possono permettere di chiudere reparti, o di non operare. È da giugno che mando mail, che segnalo che l’offerta sanitaria nell’isola è totalmente inadeguata, se non ridicola. E la risposta, finora, è il totale silenzio».

Eppure, nonostante gli sforzi del reparto di Urologia di Sassari, la lista di 262 pazienti non solo non si assottiglia, ma è destinata ad allungarsi. Perché?
«Sino a settembre avevo a disposizione una sala operatoria per un solo giorno a settimana. Ogni tanto una seduta aggiuntiva. Dove vogliamo andare? Poi, per fortuna, siamo riusciti a portare la disponibilità a 3 sedute chirurgiche a settimana. Ma si tratta sempre di un numero insufficiente, che ti costringerà a lavorare in affanno, in perenne inseguimento rispetto ai pazienti che si aggiungono alla lista. Per provare a smaltirla, bisognerebbe poter operare ogni giorno. In altre regioni funziona così. Ma qui è impossibile, primo perché mancano gli anestesisti, e anche a volerli assumere non si trovano. E secondo perché le sale operatorie vengono assegnate sulla base dei posti letto in dotazione ai vari reparti. E questo, nello scenario di emergenza nel quale ci troviamo, è pura follia. La quantità di ore delle sale operatorie dovrebbe essere ripartita solo ed esclusivamente sulla base delle necessità. Se un reparto ha 262 pazienti oncologici a rischio vita, non importa quanti posti letto ha: fai di tutto per farlo operare ogni giorno».

Lei come vive questa situazione? Quali sono i suoi sentimenti?
«Noi siamo vessati dai pazienti, hanno paura di morire, e giustamente insistono, ci chiamano continuamente, ci chiedono conto del tempo sprecato. Non hanno il quadro della sanità, non immaginano le carenze strutturali, e allora se la prendono con noi del reparto, pensano che la responsabilità dei ritardi sia nostra. Ma come faccio io a dire a un paziente affetto da idrocele, con una sacca scrotale enorme, gonfia di liquido, che non può muovere due passi o sedersi, che dovrà stare in quelle condizioni per altri due mesi, perché prima per lui non c’è posto? O come è possibile che un paziente con tumore alla vescica, che può progredire rapidissimamente, e dove un solo giorno sprecato può significare metastasi, debba stare in fila dietro interventi molto meno urgenti? Questo, per me, è diventato insopportabile».

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