Andrea Solinas, primario di Urologia: «Al Brotzu 30 interventi a settimana, ma la pressione dalle periferie è altissima»
I piccoli ospedali arrancano
Cagliari All’ospedale Brotzu Urologia sta cercando di marciare a pieno regime per abbattere le liste di attesa. «In questo momento – spiega il primario Andrea Solinas – riusciamo a garantire l’intervento per i tumori alla prostata nell’arco dei trenta giorni stabiliti dai Lea».
Com’è possibile, considerato il numero elevato di pazienti, erogare una simile tempistica?
«Dirigo Urologia da aprile, e da quella data ci viene assegnata la sala operatoria mattina e sera tutti i giorni. Prima le sedute erano tre a settimana, e in effetti avevamo grosse difficoltà a star dietro al numero dei pazienti in elenco. Invece, la disponibilità quotidiana della sala operatoria, ci consente di effettuare 30 interventi chirurgici alla settimana, dei quali due sono tumori alla prostata. Particolare urgenza anche per le neoplasie alla vescica, che possono avere un decorso particolarmente rapido e sono patologie insidiose. Da aprile in avanti, con questo ritmo, siamo riusciti ad abbattere le liste di attesa che si erano create».
Sui centri principali, come l’Aou di Sassari o il Brotzu, si riversano anche quei casi meno complessi che invece dovrebbero essere risolti nelle strutture del territorio. Questo filtro non funziona?
«Purtroppo no, e le criticità denunciate dal professor Madonia di Sassari sono reali. Io l’ho vissuto in prima persona, perché prima di arrivare al Brotzu ho lavorato per anni a Carbonia. Si riusciva ad effettuare anche 500 interventi chirurgici all’anno, poi invece la progressiva carenza di personale ha ridotto drasticamente quelle prestazioni e alla fine il reparto ha chiuso. In periferia non ci sono medici, si opera costantemente sotto organico, e in queste condizioni diventa impossibile alleggerire la pressione sui principali ospedali. Finché non si ridarà fiato ai piccoli centri, Cagliari e Sassari resteranno in affanno».
Perché non si riesce a inserire nuovi medici in organico?
«Innanzitutto è un problema di scuole di specializzazione che restano deserte. In seconda battuta gli stipendi non incentivano di certo un medico a scegliere specialità ad alta responsabilità e rischio, e tanto meno ad accettare assunzioni nei centri più periferici».
C’è una migrazione di pazienti da Cagliari verso Sassari?
«Sì, c’è. Come d’altronde esiste il flusso contrario. Quando in gioco c’è la vita, e la patologia è un tumore, i pazienti giustamente fanno il giro delle sette chiese. Cercano i tempi di risposta più rapidi per una cura che dovrebbe essere urgente. E se da una parte gli fissano un appuntamento dopo due mesi, mentre dall’altra la disponibilità è a 45 giorni, il paziente si sposta. Perciò è plausibile che da Cagliari si siano rivolti a Sassari, così come io ho operato pazienti provenienti dal nord dell’isola». (lu.so.)