La Nuova Sardegna

L’inchiesta

Tribunale del Vaticano: un azzardo l’investimento a Londra, Angelo Becciu ha mantenuto un rapporto amichevole con Cecilia Marogna

Tribunale del Vaticano: un azzardo l’investimento a Londra, Angelo Becciu ha mantenuto un rapporto amichevole con Cecilia Marogna

Presentate le motivazioni della condanna per peculato. La somma di 600mila euro, destinata al riscatto di una suora rapita, sarebbe stata invece utilizzata per spese personali, compromettendo ulteriormente la posizione del prelato sardo

30 ottobre 2024
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Città del Vaticano Il reato di peculato si configura anche se non c'era ''finalità di lucro''. Ecco perché il Tribunale del Vaticano, lo scorso dicembre, ha condannato il cardinale Angelo Becciu per peculato. Il Tribunale aveva condannato quasi tutti gli imputati per alcuni reati assolvendoli per altri. Nel dettaglio, il cardinale Giovanni Angelo Becciu e Raffaele Mincione erano stati riconosciuti colpevoli di peculato; Enrico Crasso per il reato di autoriciclaggio; Gianluigi Torzi e Nicola Squillace per truffa aggravata e Torzi anche per estorsione in concorso con Fabrizio Tirabassi, lo stesso Tirabassi per autoriciclaggio. Becciu e Cecilia Marogna erano stati ritenuti colpevoli di truffa aggravata.

Una parte della sentenza ricostruisce la sottoscrizione dell'operazione Falcon Oil e la sottoscrizione da parte della Segreteria di Stato di quote dei fondi Athena Capital Commodities Fund e Global Opportunities Fund riferibili a Raffaele Mincione con il versamento di 200 milioni di dollari (pari a circa un terzo dei fondi a disposizione della Segreteria di Stato), per cui sono stati condannati per peculato lo stesso Mincione, il cardinale Becciu, Crasso e Tirabassi. Il reato è stato confermato in quanto è emersa ''la volontà di usare i beni in contrasto con gli interessi'' della Santa Sede.

«Non può certo negarsi - si legge nelle motivazioni della sentenza - che l'uso in modo illecito dei beni della Chiesa si sia risolto in un tanto evidente quanto significativo vantaggio per Mincione ed i suoi sodali quale diretta conseguenza della condotta illecita posta in essere» dal cardinale Becciu, «sicché a nulla rileva che egli non abbia inteso agire con finalità di lucro, né che non abbia conseguito alcun vantaggio».

Le normative vigenti richiedono infatti una amministrazione «prudente, volta innanzitutto alla conservazione del patrimonio, anche quando cerca di accrescerlo, valutando le occasioni di guadagno pur se parametrate ad una eventuale e comunque contenuta possibilità di perdita». Bisognava dunque tener conto del quoziente di rischio, dell'entità del patrimonio investito e della possibilità di mantenere in qualche misura un controllo della gestione oltre che dei costi dell'operazione. «Alla stregua di questi parametri», l'investimento nel fondo gestito da Raffaele Mincione «costituisce certamente un ''uso illecito'' di quei beni pubblici ecclesiastici di cui l'allora Sostituto Becciu aveva la disponibilità in ragione del suo ufficio e dei quali ben conosceva la natura e, conseguentemente, i correlati limiti legali di impiego».

Il ruolo di Becciu Nella sentenza si sottolinea come il ''General Partner'' Mincione non abbia assunto «alcun impegno e non dava alcuna garanzia né in ordine ai rendimenti dell'investimento né in ordine al rischio di perdita dell'intero capitale investito» e «l'investitore Segreteria di Stato non aveva alcun potere di controllo». Inoltre il Tribunale sostiene che non sia affatto vero che quest'uso sconsiderato del denaro della Santa Sede sia stato avvallato dai due cardinali Segretari di Stato che si sono succeduti (Tarcisio Bertone e Pietro Parolin). Il cardinale Becciu, si legge nella sentenza, ha riconosciuto «di essere stato lui a proporre all'Ufficio l'Operazione Angola in base alla sua pregressa conoscenza ed amicizia con l'imprenditore Mosquito», l'operazione che poi si è trasformata nell'investimento sul fondo di Mincione. Becciu risultava interessato all'operazione e personalmente coinvolto, tanto da prendere contatto direttamente con Crasso, cosa mai avvenuta in precedenza. Lo stesso cardinale ha riconosciuto che «non c'era mai stato prima l'affidamento di una somma così ingente ad un solo soggetto».

Nella sentenza si osserva anche che non «poteva certo sfuggire ad una persona dall'esperienza e delle capacità riconosciute all'allora Sostituto Becciu» chi fosse Mincione, sia per informazioni di stampa, sia per le notizie raccolte dalla Gendarmeria vaticana che aveva sconsigliato di mettersi in affari con lui.

«Resta poi inspiegabile il fatto che nessuno dei pubblici ufficiali coinvolti in questa grave vicenda abbia almeno tentato, una volta chiusa definitivamente l'operazione Falcon Oil, di chiudere il rapporto con Mincione 'uscendo' dal Fondo GOF». «Raffaele Mincione - afferma il Tribunale - ha contribuito in modo decisivo, con le sue condotte, alla consumazione del reato di peculato in esame, del quale è stato, peraltro, il maggiore beneficiario». Il finanziere sapeva che gli era stato affidato denaro della Santa Sede e ha sempre interloquito direttamente con la Segreteria di Stato e dunque doveva sapere benissimo che avrebbe dovuto risponderne «secondo le norme del diritto vaticano». E del resto, «non si capisce perché Raffaele Mincione, che - da imprenditore prudente - si è fatto assistere da team di professionisti di primario livello in tutti i settori interessati dall'operazione Falcon Oil - GOF, ed in particolare da studi legali particolarmente esperti in diritto inglese, in diritto lussemburghese e in diritto dell'Unione Europea, non abbia ritenuto di dover fare altrettanto per l'ordinamento vaticano che, come egli ben sapeva, disciplina l'attività dell'Ente (Segreteria di Stato) che gli versava somme così ingenti».  L'asserita ignoranza delle normative vigenti Oltretevere non è dunque una scusante.

Torzi e l'acquisto del palazzo di Londra L'altro nodo affrontato dalla sentenza è la seconda fase dell'operazione londinese conclusa novembre 2018 che prevedeva la cessione da parte di Torzi alla Segreteria di Stato di 30 mila azioni (su 31 mila) della GUTT, cioè della società che aveva acquisito il controllo e, indirettamente, la proprietà del Palazzo di 60 Sloane Avenue. Le mille azioni rimaste a Torzi erano però le sole con diritto di voto e pertanto, la Segreteria di Stato, nonostante la cessione delle quote di GOF e l'esborso di 40 milioni di sterline, non aveva acquisito affatto il controllo dell'immobile che sostanzialmente passava da Raffaele Mincione a Gianluigi Torzi. La sentenza del Tribunale ha ritenuto colpevoli del reato di truffa aggravata Gianluigi Torzi e Nicola Squillace. Viene dimostrato come il nuovo Sostituto Edgar Peña Parra, che aveva subito espresso dubbi sull'operazione, sia stato ''raggirato'' e la sua ratifica agli accordi presi da Perlasca e Tirabassi sia avvenuta perché ingannato dalle rassicurazioni ricevute dell'avvocato Squillace. 

Soldi a Marogna Un capitolo delle motivazioni riguarda i 600 mila euro a Cecilia Marogna su indicazione del cardinale Becciu. La finalità era quella di favorire il rilascio di una suora colombiana rapita in Mali, ma i soldi della Segreteria di Stato sono stati invece spesi da Marogna in alberghi, vestiario, beni di lusso. La sentenza esamina la vicenda e la divide in due fasi: nella prima, Becciu e Marogna si rivolsero ad una agenzia inglese, la Inkerman, specializzata nei casi di sequestri e rapimenti, «cui fu versata in due riprese, tra febbraio e aprile 2018, dalla Segreteria di Stato la somma complessiva di 575 mila euro. In una seconda fase, da dicembre 2018 ad aprile 2019, una somma di uguale importo fu versata invece, mediante nove bonifici bancari, ad una società slovena», la LOGSIC, «costituita ad hoc il giorno immediatamente precedente al primo versamento, facente capo e nella esclusiva disponibilità di Cecilia Marogna. Alla donna, peraltro, Becciu aveva consegnato, nel mese di settembre 2019 anche somme in contanti per importi minori (circa 14.000 euro)».

Insomma, mentre i primi versamenti alla Inkerman «erano effettivamente destinati ad un soggetto deputato a svolgere attività di carattere umanitario», i circa 600.000 euro ulteriori versati alla Marogna «sono risultati privi di qualsivoglia riconducibilità ai suddetti fini», tanto che il cardinale Becciu non ha mai fatto il nome di Marogna con i suoi superiori. Nella sentenza viene ricostruito in dettaglio il tentativo del cardinale di ottenere dal Papa una lettera che lo scagionasse, e anche il clamoroso episodio della telefonata con il Papa appena uscito dall'ospedale dove aveva subito un intervento chirurgico che Becciu e Maria Luisa Zambrano hanno registrato, condividendo poi la registrazione con altre persone.

Dai messaggi poi finiti in un'inchiesta della magistratura italiana emerge che il cardinale ha continuato «ad avere rapporti del tutto amichevoli, se non di vera e propria familiarità» e anche a incontrare Marogna, dopo che «aveva comunque maturato una piena e definitiva consapevolezza circa le modalità del tutto illegittime» con cui la donna aveva utilizzato le somme» versate dalla Segreteria di Stato alla Logsic (definita nella sentenza una «scatola vuota» che «non esiste»). Dai messaggi traspare che Marogna ha rapporti «più che cordiali anche con altri parenti dell'imputato». E viene fatto notare come Becciu non abbia presentato querela, denuncia o esposto nei confronti di Marogna, pur avendo saputo come aveva usato i soldi della Santa Sede.

La cooperativa del fratello Nelle motivazioni si prende in esame poi il capitolo dei finanziamenti elargiti dalla Segreteria di Stato alla cooperativa del fratello di Becciu, Antonino, confermando che si è trattato di peculato non perché i soldi siano stati impiegati per fini diversi da quelli caritativi o siano stati indebitamente intascati da qualcuno, ma per il solo fatto che sia l'articolo 176 del codice penale vaticano, sia il canone 1298 in ambito canonico stabiliscono che «salvo non si tratti di un affare di infima importanza, i beni ecclesiastici non devono essere venduti o locati ai propri amministratori o ai loro parenti fino al quarto grado di consanguineità o di affinità senza una speciale licenza data per iscritto dall'autorità competente». E il versamento effettuato dalla Segreteria di Stato con Becciu Sostituto alla cooperativa amministrata dai suoi familiari è avvenuto «senza alcuna autorizzazione scritta» dell'autorità competente.

La difesa ''Leggeremo con attenzione la sentenza che rispettiamo così come rispettiamo tutte le sentenze. La motivazione che attendevamo da tempo e' piuttosto lunga e sarà oggetto di studio e di approfondimento. Certamente, per le conclusioni a cui approda, contrasta con quanto emerso nel corso del processo che ha dimostrato l'assoluta innocenza del cardinale Angelo Becciu.'' Lo sottolineano in una nota Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, legali del card. Becciu, nel giorno in cui sono state rese note le motivazioni della sentenza di primo grado per la compravendita del Palazzo di Londra.

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