La Nuova Sardegna

L'intervista

Sassari, Paolo Milia: «Fenomeno impressionante che riguarda tutta la società. Ma ora la ludopatia si cura»

di Andrea Massidda
Sassari, Paolo Milia: «Fenomeno impressionante che riguarda tutta la società. Ma ora la ludopatia si cura»

Parla il responsabile del Serd

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Sassari Per uno che esulta dopo aver fatto la “grattata” giusta ce ne sono migliaia che mandano al macero la propria vita (e spesso anche quella dei familiari) con il polpastrello macchiato d’argento o lo sguardo fisso davanti allo schermo di una slot machine. Sono gli schiavi delle lotterie di Stato e della combinazione vincente, uomini e donne affetti da una patologia che aggredisce spesso persone disperate – ma attenzione: non solo – e che sta impegnando sempre di più i servizi delle Asl isolane. A confermarlo è Paolo Milia (nella foto) dirigente del Serd di Sassari, dove già da anni non ci si dedica più soltanto alle tossicodipendenze, ma vengono affrontati anche i casi di ludopatia.

Dottor Milia, il “Libro Blu” appena pubblicato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli rivela che la spesa dei sardi destinata a “gratta & vinci” e giochi d’azzardo vari è aumentata in un anno di quasi il 70 per cento. È un dato che deve allarmare?

«È un dato impressionante. Per intenderci, siamo nell’ordine di ben oltre un miliardo di euro. Mi stupisce che un territorio come la Sardegna, teoricamente povero, tiri fuori tanto denaro per simili attività. E questa cifra, già alta, non tiene conto del gioco online, difficilissimo da quantificare».

Quando ci si accorge di essere ludopatici?

«Quando una persona non riesce a smettere di giocare nonostante proprio per quel motivo sta vivendo un guaio economico o sociale, come ad esempio la famiglia che si sfascia. Con le nuove acquisizioni neuroscientifiche si è capito che i circuiti cerebrali alla base delle dipendenze da sostanze sono gli stessi che sottendono alle dipendenze comportamentali, compreso il gioco d’azzardo. Però una premessa è doverosa».

Prego.

«Nel calderone dei dati di spesa fornito dall’Adm ci finisce anche l’acquisto del biglietto della Lotteria di Capodanno, ma non tutti quelli che tentano la fortuna giocando hanno un problema. Esattamente come non tutti quelli che bevono un bicchiere di vino con gli amici sono alcolizzati. Detto ciò, ora c’è molta più attenzione a questo fenomeno perché sta diventando rilevante. Per questo che esistono i Serd».

Ci può essere una predisposizione genetica?

«Siamo ancora lontani da poterlo dimostrare. Tuttavia esistono dei fattori di rischio e tra questi c’è anche la personalità di un individuo».

Qual è l’identikit del gambler patologico?

«Non esiste un profilo preciso, ma c’è un elemento comune a tutti i giocatori dipendenti: a tenere vivo il loro fuoco non è la vincita, ma l’azzardo in sé. Il gusto è scommettere, il risultato è solo un dettaglio».

C’è un gioco più diffuso degli altri?

«Sì, c’è: il “Gratta & Vinci”. Ed è anche un perfetto esempio di quello che stavo dicendo prima. Quante persone vincono? Pochissime, quasi zero. Eppure in tanti continuano ad acquistare tagliandi, spesso in maniera compulsiva. Nel caso specifico, si tratta soprattutto di donne».

Donne?

«Esattamente. Siamo a livelli del 90%. Gli uomini occupano quasi tutta la fascia delle scommesse sportive».

È una questione culturale, allora.

«Culturale, certo. Ma anche sociale. Il Gratta & Vinci è più discreto: vado a fare la spesa e prendo un biglietto, apparentemente passo inosservata».

La povertà incide?

«Ovviamente c’è chi, in condizioni d’indigenza, tenta di cambiare la propria sorte giocando d’azzardo. È il pensiero magico ben noto in psichiatria. Ma il problema è trasversale, riguarda tutti gli strati sociali, poveri e benestanti».

La gratificazione da dopamina, invece, che ruolo ha?

«Beh, quando il mio piacere non dipende dalla vincita, ma dal rischio, significa che il sistema dopaminergico gioca un ruolo importante. Ripeto: come per le droghe, il circuito cerebrale che governa la ricerca di quella condizione affascinante, e di conseguenza la coazione a ripetere, è sempre lo stesso. Solo che ad attivarlo non è una sostanza, ma una sensazione».

I tossicodipendenti associano spesso l’abuso di più sostanze. Anche i ludopatici hanno più “vizi”?

«Sì. Come è difficile trovare un eroinomane che faccia uso soltanto di eroina, è difficile trovare un gambler che non beva più del dovuto, ad esempio. Il paziente “puro”, nella realtà è molto raro».

Crisi di astinenza?

«Si verificano, ma non sono di tipo fisico. C’è semmai una sorta di pulsione, di pensiero dominante, che ti porta a voler ripetere quel determinato comportamento. Nel senso che tu non hai più il controllo di quel pensiero, ma è quel pensiero che controlla te. E allora vai a cercare soldi, che siano quelli del tuo stipendio o quelli della pensione della nonna, non fa differenza».

In Sardegna ci sono grosso modo 5mila punti vendita di giochi pubblici, ma poi si fanno piani terapeutici ad hoc. Non le sembra una contraddizione?

«È un’evidente contraddizione di tutto il mondo occidentale, non solo nostra. Del resto si tende a non limitare le libertà. Un discorso simile vale anche per le sigarette».

Da chi è curato il servizio della Asl per combattere la ludopatia?

«Prioritariamente da psicologi. Il medico interviene in casi di comorbidità, per esempio se il paziente è depresso, ha un disturbo dell’umore o abusa di sostanze. Soltanto nel Nord Sardegna seguiamo 150 persone»

Per concludere: si guarisce da questa patologia?

«Assolutamente sì. Ci sono tante persone che ne vengono fuori, sono assai utili gli approcci di gruppo. A questo proposito vorrei lanciare un messaggio rassicurante: i centri Gap (acronimo di Gioco d’azzardo patologico – ndr ) funzionano molto bene, sono gratuiti e a disposizione di tutti».
 

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