Distrutte le navi romane di Olbia: abbandonate per anni sotto il sole
I resti di ventuno relitti dimenticati nell’ex Artiglieria tra rifiuti ed erbacce. La zona non è custodita, chiunque può entrare. In passato furti e incendi
Olbia L’erba cresce sempre più alta e i rumori della città sono solo un lontano sottofondo. Le auto che scorrono sulla lunga sopraelevata, una musica che arriva dalle finestre lasciate aperte di una casa vicina. Poi basta. Le casse bianche sono avvolte da un luttuoso e drammatico silenzio. È il cimitero della storia. Sembrano mummie, corpi putrefatti, ma in realtà sono i legni marci delle navi romane. Esatto: quelle che erano state trovate 25 anni fa davanti al municipio, nello scavo che ha poi dato vita al lungo e profondo tunnel. Le stesse che avevano gonfiato il petto di una città che aveva improvvisamente scoperto di possedere un patrimonio praticamente unico al mondo. Ne avevano trovate 24. Tre sono esposte nelle sale del museo archeologico, le altre sono qua. In mezzo alle erbacce, tra i rifiuti, tragicamente abbandonate. Alcune casse sono coperte dai teloni, altre sono invece scoperchiate. E dentro si vede tutto. Legni molli, sgretolati, larve, qualche fungo, pezzi di plastica. Sono le navi dell’impero romano lasciate marcire sotto il sole e la pioggia chissà per quanto tempo. Forse tre o addirittura quattro anni. È il lato oscuro della città dei boom economici e demografici: i pezzi più pregiati della sua storia dimenticati sotto il cielo della vecchia Artiglieria, in mezzo a due dei quartieri più popolosi della città, a una manciata di metri dal prato e dalle gradinate dello stadio Bruno Nespoli. È l’altra faccia di una Olbia che da oggi, ripensando a quel che resta del suo antico passato, scoprirà forse di essere un pochino meno felice.
L’Artiglieria È da decenni che la grande area della vecchia Artiglieria di Santa Cecilia, sotto la sopraelevata che collega via Vittorio Veneto con via Roma, è utilizzata come magazzino della storia. Un capannone, un tempo usato come deposito militare e infine dato alla Soprintendenza, custodisce infatti tutto ciò che negli anni è stato trovato nel sottosuolo olbiese. Poco è stato portato al museo, il grosso è tutto qua. E qui dentro erano stati conservati anche i relitti delle navi, molte romane e alcune medievali, trovate nello scavo del tunnel. I pochi archeologi della Soprintendenza, nel Paese della cultura che finisce sotto le scarpe, hanno sempre faticato per salvaguardare il tesoro della città. L’Artiglieria, per esempio, è stata invasa dall’ondata di piena dell’alluvione del 18 novembre 2013. E mai è stata realmente protetta e custodita. Basta sfogliare le cronache per ricordarsi di ciò che è accaduto negli anni. Incendi, furti, capannoni occupati da senzatetto, roghi per scaldarsi. Solo per miracolo le navi romane sono sempre riuscite a salvarsi. Poi l’idea di riqualificare l’area e restituirla alla città. Nel 2017 il polmone verde dell’ex Artiglieria era passato dalla Regione al Comune per la cifra simbolica di un euro. Nel frattempo la Soprintendenza era riuscita a ottenere un finanziamento di 700mila euro per il restauro e la trasformazione di due capannoni in una sorta di piccolo polo museale. Da tempo il cantiere è in corso e sul cancello dell’artiglieria è appeso un cartello con il logo del ministero della Cultura, più un rimando al segretariato regionale della Sardegna. C’è scritto anche «Lavori di adeguamento e fruizione». Dentro c’è chi lavora.
Tour della vergogna L’Artiglieria non è mai stata un luogo inaccessibile, nonostante la mole di reperti archeologici che custodisce. Il discorso vale per il passato e anche per il presente. Non serve dunque essere Diabolik per intrufolarsi dentro. Proprio accanto al sottopasso di via Amba Alagi, sulla sponda del rio Gadduresu, inizia per esempio un sentierino disseminato di rifiuti. Poco più avanti c’è la base di uno dei piloni della sopraelevata. Forma una specie di ponte sul fiume: un salto e si è dentro l’artiglieria. In un angolo si può incontrare una giovane coppia in cerca di intimità. Poi l’erba alta e infine una stradina in terra battuta che punta verso i grandi alberi di eucalipto e i capannoni sgangherati dell’Artiglieria di Santa Cecilia. Attorno ancora un po’ di rifiuti, bottiglie di birra, pacchetti di sigarette, cartoni di vino scadente. Siamo a pochi passi dal tesoro archeologico della città. Ed ecco che, poco lontano dal cantiere in corso, cominciano a spuntare le prime sagome bianche. Inizialmente sembrano poche, poi invece ci si accorge che sono decine. Sembrano bare. Sono le casse di legno dentro cui sono custodite, smontate pezzo per pezzo e un tempo numerate, le navi romane. Per anni le stesse casse si trovavano al coperto, dentro i capannoni, ma adesso invece sono fuori, all’aperto, sotto il sole e sotto la pioggia. Il motivo non è noto. Ma non sarebbe una novità: a quanto pare sono anni che le navi romane sono abbandonate a loro stesse qui all’aria aperta. Come se niente fosse. Come vecchi mobili smontati e fatti a pezzi in attesa che passi il camion per la raccolta dei rifiuti. Direzione: discarica.
Cimitero della storia Difficile capire se le navi trovate 25 anni fa siano tutte qui. Basta però sapere che le casse sono decine. Diverse quelle coperte, molte anche quelle senza alcun tipo di protezione. E dentro lo spettacolo è da brividi. Alcune sono piene d’acqua e il fasciame annega in mezzo alla melma, agli insetti e a una plastica diventata quasi poltiglia. In altre casse, invece, non c’è neanche più l’acqua, che almeno poteva servire per rallentare il processo di rovina. E quindi i resti delle navi che ai tempi degli imperatori solcavano le acque del Mediterraneo sono secchi, sgretolati, in alcuni casi sono diventati grigi. Sono circondati dalla plastica ormai in mille pezzi dei teloni che servivano per sigillare e proteggere in qualche modo le casse. Tutto attorno ancora i rumori lontani di una città che non sa. Che ignora totalmente che la grande flotta del passato è stata affondata sotto il suo naso. Come i Vandali nel 450 dopo Cristo, ma stavolta niente guerre e nessuna città da incendiare e da radere al suolo: solo il risultato di un presente che non ha saputo proteggere il suo passato, fino a perderlo per sempre.