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Turismo

L'assessore Franco Cuccureddu: la Sardegna vendiamola cara e diciamo grazie a chi spende 100 euro per una pizza

di Luigi Soriga
L'assessore Franco Cuccureddu: la Sardegna vendiamola cara e diciamo grazie a chi spende 100 euro per una pizza

La provocazione: «Viva il turismo d’élite. I grossi numeri non servono, rendiamo l’isola ancora più godibile»

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Sassari «Ben vengano tutti gli accorgimenti utili a dare valore alle cose, e a farle apprezzare. A questa logica risponde anche il numero chiuso in determinate spiagge. Quelle che devono essere preservate, e quelle dove c’è un tale afflusso da renderle invivibili».

Per il nuovo assessore regionale al Turismo Franco Cuccureddu, però il discorso sugli arenili contingentati, si innesta in un discorso ben più ampio: «Quello sui numeri è un approccio sbagliato, non più sostenibile. Se puntiamo a far arrivare “i bagnanti”, così come li chiamava mia nonna, cioè quelli che si immergono in mare 7 settimane all’anno, non si va da nessuna parte. Perché non vivrebbero bene la Sardegna, e non godrebbero nemmeno la sua bellezza».

Insomma, il turismo non va misurato con il pallottoliere delle presenze: «Si pensa che più siano i flussi, e più la stagione sia boom. Invece non funziona così: un indicatore più attendibile è il Pil. E l’isola, contrariamente a quel che si percepisce, secondo questo parametro è una delle regioni meno turistiche d’Italia. A livello nazionale il turismo incide per il 12% del Pil, mentre qui siamo all’8%. Eppure si continua a parlare di arrivi, di estate record, e di numeri in crescita. E tutto si traduce in sovraffollamento concentrato in pochi mesi, sistema fognario in tilt, niente parcheggi, acqua non potabilizzata. Questo non fa bene all’immagine dell’isola». Gli obiettivi che si prefigge Cuccureddu sono diversi: «Se il Pil del turismo dall’8 per cento arrivasse al 9%, questo è un risultato. Se il tasso di occupazione dei letti arrivasse al 30%, allora parliamo di successo. Ma non fermiamoci più al discorso dei flussi turistici, perché non sono così significativi».

C’è anche un altro discorso, che va controcorrente. «In questo ragionamento, che in una certa maniera è legato al numero chiuso e alla selezione, voglio andare in controtendenza. La gente si scandalizza perché in un ristorante della Maddalena c’è il menù per cani a 110 euro, e una pizza può costare 100 euro. Oppure si resta scioccati perché un parrucchiere sale su uno yacht e chiede 200 euro per una messa in piega. Ma io dico: siano benedette queste persone che sprecano i propri soldi e li danno ai sardi. Bisogna superare questa barriera ideologica che ci fa dire che l’extra lusso sia un’offesa a chi muore di fame. Chi “butta” i soldi in questo modo, e lo fa in Sardegna, ci fa solo un enorme favore. E questo è il modo migliore per iniziare a ridistribuire la ricchezza tra chi ne ha a dismisura e chi ne ha decisamente meno».

Altro dato che fa riflettere: «La nostra isola, oltre al primato per i centenari, ne ha un altro interessante, almeno nel segmento turistico: siamo la prima destinazione per i maxi yacht. Parliamo del segmento a più elevata remunerazione. Uno solo di questi milionari che approdano nelle località più esclusive, spende talmente tanto da incidere sul Pil come centinaia di altri turisti. Ma porta ricchezza con un impatto ambientale decisamente più contenuto, rispetto al corrispettivo di 500 persone. Quel che voglio far capire, è che non bisogna storcere troppo il naso davanti a un turismo di élite, e non bisogna farsi condizionare solo dai pregiudizi».

L’esempio della nautica extra lusso, naturalmente, è un’estremizzazione, ma utile a far capire come i numeri e le presenze siano fattori relativi: «Si può assolutamente fare un buon turismo con meno persone, valorizzando al meglio le risorse. Ecco perché il numero chiuso nei litorali, lo ribadisco, è un’iniziativa che ha senso».

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