L’isola dei soprannomi: a Bono “isconca-santos” e pieni di cimici a Bultei
Un viaggio tra paesi e città della Sardegna tra sfottò e tradizione: tra gli altri anche Nule, Benetutti, Burgos, Bottidda, Illorai, Esporlatu e Anela
Bono Non si fanno sconti tra loro gli abitanti del Goceano, a cominciare dal capoluogo Bono, dove a un neutro “pira” (tradotto, pera) si affianca un meno lusinghiero “isconca-santos”, decapita santi, detto di chi non teme nemmeno la punizione divina. Di legami con forze demoniache (detto col sorriso) sono tacciati gli abitanti di Nule, i “batiza-coloras”, battezza serpi, che fanno cose impossibili ma anche inutili. Su Nule ci si sbizzarrisce, perché sono attestati anche un “baule”, cassa da morto e “priogu”, pidocchio; i benetuttesi li chiamano “imbola-burdos”, accusandoli di gettare via, in passato, i figli illegittimi che poi a Benetutti venivano salvati e allevati.
In riferimento alla presenza delle acque termali, oltre che alla caratteristica del paese di essere costantemente esposto al sole di giorno, si attesta l’affascinante Benetutti “mati-caentes” o “pantzi-cotu”, dalla pancia calda. Bultei è detto “rustosu”, pieno di cimici, ma per i suoi abitanti c’è anche l’epiteto di “bragones”, che si vantano. Burgos è invece “tirighinzu”, paesello (detto soprattutto dai bonesi), anche se esiste un più doloroso “Burgos insambenau”, ovvero insanguinato.
Più “delicato” il blasone di Bottidda, ovvero “càriga” (fichi secchi o frutta secca in generale), anche se per i suoi abitanti è attestato anche un meno lusinghiero “pedulianos”, che chiedono l’elemosina, e anche quello di Illorai, un generico “loroddu” (pettegolezzo), cui si aggiungono però anche un “Illorai s’abba ’e sa pica” (una fontana del paese non proprio salutare), ma anche “chisina” (cenere), che fa il paio con “Esporlatu afumadu”, nel senso di affumicato, annerito. A una leggenda legata alla maledizione di fate incattivite fa infine riferimento il blasone di Anela, «mai cabu d’apedas», ovvero «mai abbiate senno».
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