L’isola dei soprannomi: a Ozieri “chibudda” e il fango di Oschiri
Un viaggio tra paesi e città della Sardegna tra sfottò e tradizione: Ittireddu, Mores, Nughedu San Nicolò, Mores, Buddusò, Alà dei Sardi, Monti, Berchidda e Pattada
Ozieri Con la loro accezione negativa e di “sfottò” i blasoni affibbiati agli abitanti del Monte Acuto dai paesi vicini non fanno sconti su peculiarità e “difetti”. Quelli legati al cibo insinuano che in certi posti ci si nutra solo ed esclusivamente di qualcosa: come nel caso di “Ozieri chibudda” (cipolla, nella qualità locale che veniva coltivata in abbondanza negli orti) o “Pattada regotu” (ricotta), anche se questa parola fa anche rima con «ca ischin totu», che sanno tutto, che richiama la saccenteria degli abitanti.
“Regotu” lo si affibbia anche a Ittireddu, che però ha come blasone anche “pedra fùmiga”, la pietra fumante del suo vulcano, e a Nughedu San Nicolò, su cui però pende anche la maledizione “Nughedu mai remediu”, che si narra fu lanciata da alcune janas (fate) cacciate dal paese, come viene raccontato anche nel romanzo “Lughes e umbras de ammentos” di Franco Lene. Se di Mores si dice che sia “paza” (paglia: vanagloria), dell’abitante di Tula invece si dice “befante”, ovvero che si fa beffe di tutti.
Voltandosi verso la provincia Gallura si arriva a Buddusò, i cui abitanti sono detti “sos ceinos” perché usano “ceo” per dire “io”, ma che dai vicini di Alà dei Sardi sono definiti con malizia “fura-campanas”, ruba campane.
Ma non sono lusinghieri neanche gli epiteti dedicati agli abitanti di Alà, di cui si ricorda “s’iscrutzitùdine”, l’uso di andar scalzi, ma anche la caratteristica di “tuji-longos”, dal collo lungo. Facile è poi l’interpretazione del “Monti corrudu” (cornuto), “Berchidda pompa”, anche qui vanagloria, pomposità, e “Oschiri ludu”, fango o poltiglia, per essere zona paludosa e umida anche prima della formazione del lago nel lontano 1927.
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